(30)
KANGIN
Leggere i Sūtra
Nella prima parte di questo capitolo, il Maestro Dōgen espone il suo insegnamento sulla natura dei sūtra e sul loro profondo significato, attraverso commenti ai vari kōan degli antichi maestri. Egli sottolinea che leggere i sūtra non può essere limitato ai sūtra scritti, in quanto la Natura stessa e l’intero Universo non sono altro che un sūtra. La seconda parte è invece dedicata ad una dettagliata descrizione della cerimonia della lettura dei sūtra, in uso in quei tempi.
Nella prassi e illuminazione del supremo e perfetto risveglio, a volte si utilizza l’insegnamento di un maestro, a volte l’insegnamento contenuto nei sūtra. ‘Maestro’ è l’intero sé dei Buddha e dei Patriarchi, ‘sūtra’ è l’intero sé dei sūtra. Dunque, abbiamo il sé di tutti i sūtra. ‘Sé’ non è una qualche limitata identità, ma è attiva intuizione illuminata e scrittura vivente. La prassi e illuminazione dei Buddha e dei Patriarchi è costituita dal ricordare, leggere, salmodiare, copiare, ricevere e custodire i sūtra.
È tuttavia difficile venire a contatto con i sūtra buddhistici. In tutti i paesi di questo mondo perfino il solo titolo dei sūtra si sente di rado. Anche tra i Buddha, i Patriarchi e i loro discendenti è difficile udirne perfino il solo il nome. Se non siete un Buddha o un Patriarca non potete vedere, udire, leggere, salmodiare o capire i sūtra.
Studiando i Buddha e i Patriarchi, gradualmente diveniamo capaci di studiare i sūtra. Allora, le facoltà dell’udire, del vedere, del gustare, dell’odorare, e la comprensione della totalità di corpo e mente, realizzano l’udire, il ricevere, il custodire e lo spiegare i sūtra. Chi cerca solo la fama e chi spiega le dottrine dei profani, non potrà mai attuare i sūtra buddhistici nella prassi. Questi sūtra sono stati trasmessi da alberi e pietre, e sono stati conosciuti fin nelle risaie e nei villaggi. Essi sono stati proclamati ovunque, da un capo all’altro di vasti reami e nell’intero Universo.
Il Grande Maestro Yakusan Kodō[1] non teneva da tempo un discorso sul Dharma. Il segretario generale gli disse: “Tutti i monaci attendono di udire il tuo compassionevole insegnamento.” Yakusan disse: “Suona il gong e riunisci l’assemblea.” Il segretario eseguì e subito tutti i monaci si riunirono. Allora Yakusan entrò nella Sala del Dharma, sedette silenziosamente per un po’, poi si alzò e tornò nel suo alloggio. Il segretario generale lo seguì e disse: “O monaco! Hai accettato di parlare ma poi te ne sei andato senza dire una sola parola. Perché?” Yakusan rispose: “I sūtra hanno maestri di sūtra, le dottrine dell’abhidharma hanno studiosi dell’abhidharma.[2] Perché ti stupisce ciò che ha fatto questo vecchio monaco?” Yakusan intendeva così affermare che le scritture viventi hanno maestri di scritture viventi, e che la visione illuminata ha maestri di visione illuminata. Nondimeno, il segretario avrebbe dovuto dire a Yakusan: “Non mi meraviglio certo per le vostre azioni. Approposito, voi quale tipo di maestro siete?”
Una volta, Hōtatsu, un monaco la cui principale occupazione era il salmodiare continuamente il Sūtra del Loto, si recò dal Patriarca Daikan,[3] del monte Sōkei, nel Koshū. In quella occasione il Patriarca recitò questa strofa:
“Se la mente è illusa, il Sūtra del Loto ci fa girare;
se la mente è illuminata, facciamo girare il Sūtra del Loto.
Per quanto a lungo noi salmodiamo,
se non chiarifichiamo il sé,
parole e lettere ostruiranno l’essenza.
Il pensiero senza-pensiero è vero.
Il pensiero cosciente è falso.
Abbandona esistenza e non-esistenza
e sempre procedi col carro del bue bianco.” [4]
Dunque, se la mente è illusa il Sūtra del Loto fa girare noi, se invece la mente è illuminata noi facciamo girare il Sūtra del Loto. Trascendendo illusione ed illuminazione, il Sūtra del Loto fa girare il Sūtra del Loto.
Udendo questa strofa, Hotatsu fu colmo di gioia e recitò i suoi versi:
“Più e più volte ho salmodiato i sūtra;
ora un solo verso di Sōkei me li ha fatti dimenticare tutti.
Se non abbiamo chiarito
l’apparire di Śākyamuni in questo mondo,
non possiamo essere liberi dalla rinascita.
Vi sono carri tirati da pecore, daini e buoi;
inizio, metà e fine sono colmi di virtù.
Chi sa che, all’interno di questa casa in fiamme,
si trova l’originario regno del Dharma?”
Allora il Patriarca disse: “D’ora in poi ti chiamerai il Monaco che Legge i Sūtra.”
Dovremmo sapere che nella Via del Buddha un simile monaco esiste. Questo è il puntare diretto dell’antico Buddha Sōkei. Imparare a memoria non è consapevolezza e neppure non consapevolezza, né esistenza né non esistenza. Dobbiamo custodire e studiare a memoria i sūtra, giorno e notte, attraverso kalpa illimitati; da sūtra a sūtra non vi è altro che sūtra.
Il Venerabile Prajnātāra, ventisettesimo Patriarca dell’India orientale, fu invitato a pranzo dal re. Il re gli chiese: “Tutti predicano ogni genere di sūtra, eccetto te. Perché?” Prajnātāra allora disse: “Perdona le mie povere parole, ma la metterei così:
‘Nell’espiro il mio soffio non è turbato da eventi o da condizioni, e nell’inspiro non dimoro nel mondo della forma condizionata.
Ininterrottamente proclamo il sūtra della quiddità, ed esso comprende milioni e milioni di volumi, non uno o due’.”
Il Venerabile Prajnātāra piantò in tal modo i semi della prassi nell’India orientale. Egli era il ventisettesimo Patriarca discendente da Mahākāśyapa. Trasmise i beni familiari dei Buddha: le loro teste, occhi illuminati, pugni, narici, bastoni, ciotole per l’elemosina, abiti, ossa, midollo ecc. Egli è il nostro Patriarca e noi siamo i suoi discendenti. L’essenza dell’affermazione di Prajnātāra è che, non solo il suo respiro non è turbato da condizioni esterne, ma anche che le condizioni esterne non sono turbate. Condizioni esterne quali testa e occhi, corpo e mente, non sono per nulla turbate da condizioni esterne.
Non turbate qui significa completamente turbate.[5] Benché il respiro esalato sia una condizione esterna, esso non è turbato da condizioni esterne. Benché il significato di espirare e inspirare sia rimasto ignoto per innumerevoli kalpa, esso è ora stato reso noto, per la prima volta, da espressioni quali “Non dimorante nel mondo della forma” e “Non turbato da condizioni esterne.”
Nelle condizioni esterne abbiamo la possibilità di studiare l’inspirare. Questa possibilità non esiste nell’eterno passato o futuro, ma nel presente. L’insieme dei cinque skandha è il mondo della forma condizionata, ovvero, forma, percezione, sensazione, predisposizione, coscienza. Non dimorate nei cinque skandha; vi trovate in un mondo dove essi non compaiono. Qui l’importante è che i sūtra proclamati non ammontano ad uno o due, ma milioni e milioni. Milioni e milioni è una quantità enorme che ha anche un significato diverso.
Un solo respiro nel quale non dimoriamo nel mondo della forma condizionata, contiene milioni di volumi. Eppure ciò non costituisce una grande quantità di saggezza, né una condizione liberata. Trascende possesso o non-possesso di conoscenza e saggezza. È semplicemente la prassi e il risveglio dei Buddha e dei Patriarchi; è la loro pelle, carne, ossa, midollo, occhi illuminati, pugni, testa, narici, bastoni e scacciamosche.
Una volta, un’anziana devota che aveva fatto una cospicua donazione, chiese al Grande Maestro Shinsai,[6] nel Jōshū, di leggere l’intero Tripitaka.[7] Jōshū scese dal seggio e vi girò attorno una volta. Quindi disse al messaggero dell’anziana signora: “Ho terminato di leggere il Tripitaka.” Allora il messaggero tornò dalla signora e le raccontò l’accaduto. Essa disse: “Ho chiesto che leggesse l’intero Tripitaka. Perché ne ha letto solo metà?”
Possiamo così vedere con chiarezza che sia l’intero Tripitaka, sia mezzo Tripitaka, sono i tre sūtra[8] dell’anziana signora. “Ho finito di leggere il Tripitaka” è la comprensione che Jōshū ha dei sūtra. In generale, leggere il Tripitaka è il camminare di Jōshū attorno al suo seggio, ed è il camminare del seggio attorno a Jōshū. Jōshū cammina attorno a Jōshū, il seggio cammina attorno al seggio. Tuttavia, leggere il Tripitaka non è soltanto camminare attorno al seggio.
C’è un’altra storia molto simile. Il Grande Maestro Jinshō[9] del monte Daisai, nell’Echū, era allievo del Grande Maestro Dai-an di Chokeiji. Una volta, un’anziana discepola fece una donazione e gli chiese di leggere l’intero Tripitaka. Daisai si alzò, girò una volta attorno al seggio e disse al messaggero della donna: “Ho finito di leggere il Tripitaka.” Il messaggero tornò dalla signora e riportò l’accaduto. Ella disse: “Gli ho chiesto di leggere l’intero Tripitaka. Perché ne ha letto solo mezzo?”
Qui non dovremmo studiare il muoversi di Daisai attorno al seggio, né il muoversi del seggio attorno a Daisai. Egli non stava cercando di mostrare la perfezione delle scritture o della visione illuminata del Buddha. Il suo girare era il girare del mondo-del-Dharma. Tuttavia, l’anziana signora possedeva, o no, la capacità di comprenderlo? “Ne ha letto solo mezzo” non è sufficiente, anche se le è stato trasmesso dal suo maestro; piuttosto, avrebbe dovuto dire: “Gli ho chiesto di leggere l’intero Tripitaka. Perché è sceso così prontamente dal suo seggio?” Anche se avesse detto ciò senza riflettere, sarebbe comunque stata una persona in possesso dell’intuizione illuminata.
Una volta, un ministro invitò a pranzo il Patriarca Tōzan.[10] Il ministro fece una donazione e chiese a Tōzan di leggere il Tripitaka. Tōzan scese dal suo seggio e si inchinò al ministro. Il ministro restituì l’inchino. Allora Tōzan lo afferrò e, assieme, fecero un giro tutto attorno al seggio. Tōzan si inchinò di nuovo e, dopo aver atteso un momento, chiese: “Avete compreso?” Il ministro rispose: “No.” Tōzan disse: “Vi ho letto il Tripitaka. Perché non comprendete?”
Il significato di: “Vi ho letto il Tripitaka” dovrebbe essere chiaro. Non dovremmo considerare che camminare attorno al seggio sia leggere il Tripitaka, né che leggere il Tripitaka equivalga al camminare attorno al seggio. Dobbiamo ascoltare con molta attenzione le parole del Patriarca.
Una volta, quando il mio defunto Maestro, l’antico Buddha, viveva sul monte Tendō, un pellegrino coreano venne per fare una donazione e chiese che tutti i monaci recitassero alcuni sūtra. Il mio Maestro gli raccontò la storia di Tōzan. Finita la storia il Maestro tracciò nell’aria un cerchio col suo scacciamosche e disse: “Oggi ho letto il Tripitaka per voi.” Gettò quindi per terra lo scacciamosche e lasciò la sala.
Dovremmo esaminare attentamente le azioni del mio defunto Maestro. Sono senza pari. Nel leggere il Tripitaka utilizzò un occhio splendente, o solo mezzo? Dobbiamo chiarire il modo in cui Tōzan e il mio Maestro usarono l’intuizione illuminata e la lingua del Buddha.
Il Patriarca Yakusan Kodō,[11] solitamente non permetteva la lettura dei sūtra. Un giorno, tuttavia, un monaco lo sorprese mentre guardava un libro aperto e gli disse: “O monaco! Di solito non permetti la lettura dei sūtra, perché tu stesso lo stai facendo?” “Ho solo bisogno di qualcosa su cui posare gli occhi” disse Kodō. Il monaco allora chiese: “Posso utilizzare lo stesso pretesto?” Kodō rispose: “Se guardi i sūtra, ne brucerai da parte a parte la copertura in cuoio.”
“Ho bisogno di qualcosa su cui posare gli occhi” significa per Yakusan il diventare l’oggetto stesso. Vale a dire abbandonare l’intuizione illuminata, abbandonare i sūtra. L’occhio è ostruito e diventa l’occhio ostruito. C’è un’ostruzione attiva davanti all’occhio; alla pelle che copre l’occhio aggiungiamo un’altra pelle. Attraverso l’ostruzione possiamo illuminare l’occhio e viceversa. Dunque, se non è il sūtra dell’illuminata intuizione, non possiamo acquisire il merito inerente all’occhio ostruito. “Bruciare da parte a parte la copertura in cuoio” significa che l’intera vacca è pelle. La sua pelle, carne, ossa, midollo, testa, corna e narici costituiscono la sua funzione vivente. È imparando qualcosa sul maestro che la vacca diviene intuizione illuminata. Questo è il significato di posare l’occhio su qualche oggetto. Qui l’intuizione illuminata diventa la vacca.
Il Maestro Zen Yafu Dōsen,[12] disse: “Venerare tutti gli innumerevoli Buddha ci procura illimitata felicità. Ma questo è superiore alla lettura degli antichi insegnamenti? I sūtra sono caratteri neri su carta bianca. Aprite gli occhi e guardateli!”
Dovremmo sapere che venerare gli antichi Buddha e leggere gli antichi insegnamenti comporta la stessa virtù e felicità. Non vi sono né felicità né virtù, al di là di questo. L’antico insegnamento è caratteri neri su carta bianca, ma chi veramente conosce l’antico insegnamento? Dovremmo studiare a fondo questo principio.
Una volta, uno dei monaci del Grande Maestro Kōkaku,[13] del monte Ungo, stava leggendo un sūtra nella sua stanza. Il Maestro gli chiese attraverso la finestra: “Che sūtra stai leggendo?” Il monaco rispose: “Il Vimalakīrti Nīrdeśa Sūtra.” Il Maestro disse: “Non ho chiesto quale sūtra tieni tra le mani. Che sūtra stai leggendo?” Improvvisamente il monaco fu illuminato.
Il “Che sūtra stai leggendo?” di Kōkaku trascende il tempo ed è estremamente profondo; non può essere tradotto a parole. È come incontrare una serpe velenosa sulla strada; allora emerge la questione centrale del sūtra. Ogni qualvolta s’incontra un maestro, egli sarà capace di spiegare il Vimalakīrti Sūtra, senza errore.
In generale, la lettura dei sūtra dovrebbe basarsi sul metodo utilizzato da tutti i Buddha e i Patriarchi. Essi utilizzano la loro intuizione illuminata. In quel momento tutti i Buddha e i Patriarchi diventano Buddha e proclamano il Dharma e il Buddha. Se non leggete i sūtra in questo modo non vedrete mai la testa o il viso dei Buddha e dei Patriarchi.
Nelle odierne comunità di Buddha e Patriarchi, i sūtra sono letti in diverse occasioni. Ad esempio, i sūtra letti a beneficio di tutti gli esseri su richiesta di un laico devoto, la regolare recitazione quotidiana, il salmodiare individuale dei monaci zelanti; ecc. Ancora, vi è un modo particolare di salmodiare in occasione dei funerali di un monaco. Quando un pio laico viene al tempio chiedendo ai monaci di salmodiare i sūtra, bisognerebbe attuare questa procedura: terminato il pasto mattutino, il monaco anziano innalza un’insegna davanti al monastero e agli alloggi dei monaci, per annunciare il canto. Un tappeto usato per le prostrazioni viene posto innanzi all’immagine di Mañjuśrī.
Giunto il momento, il gong davanti al monastero viene suonato una, o tre volte, secondo le istruzioni del monaco anziano. Dopo il suono del gong, il monaco anziano conduce tutti gli altri nella sala dove prendono posto, rivolti al centro. Tutti dovrebbero indossare il kesa. Per ultimo entra nella sala l’abate che, dopo essersi inchinato alla statua di Mañjuśrī, siede al proprio posto. Allora un monaco porta i sūtra. Questi dovrebbero essere preparati in anticipo e sistemati correttamente nell’apposito contenitore.
I sūtra dovrebbero essere portati in una speciale scatola o vassoio. Tutti i monaci, con reverenza, reggono i sūtra e cominciano a salmodiare. In quel momento l’addetto agli ospiti conduce il laico nella sala. Questi dovrebbe prendere l’incensiere che un monaco attendente, in precedenza, aveva situato all’ingresso del tempio. Il segnale per accedere al tempio dovrebbe essere dato dall’addetto agli ospiti. Essi entrano da sud, l’addetto davanti e il laico dietro. Il devoto, offrendo incenso alla figura di Mañjuśrī, si prostra tre volte, sempre reggendo l’incensiere. Durante le prostrazioni del devoto, l’addetto agli ospiti rimane in piedi, nell’angolo superiore del tappeto per le prostrazioni, rivolto a sud e con le mani incrociate sul petto.
Terminate le prostrazioni, il devoto si rivolge a destra, verso l’abate, e s’inchina. L’abate resta seduto, prende i sūtra tra le mani e fa gasshō.[14] Quindi il devoto si volta verso nord e si inchina. Poi gira attorno alla sala iniziando dal seggio dell’abate. L’addetto agli ospiti lo guida nel suo giro. Il devoto si ritrova ancora di fronte all’im-magine di Mañjuśrī e, sempre con l’incensiere in mano, effettua un inchino. Nel frattempo l’addetto agli ospiti rimane all’ingresso, rivolto a nord e con le mani incrociate sul petto. Dopo essersi inchinato a Mañjuśrī, il laico segue l’addetto agli ospiti fuori del monastero e vi gira tutto attorno, una volta. Quindi rientra, esegue tre prostrazioni a Mañjuśrī, va al posto assegnatogli e attesta la lettura dei sūtra. Il suo seggio dovrebbe essere o vicino al pilastro a sinistra di Mañjuśrī, o vicino al pilastro meridionale, rivolto a nord. Quando, infine, il devoto si è seduto, l’addetto agli ospiti s’inchina e raggiunge il suo posto.
In alcune occasioni un monaco intonerà un canto, mentre il laico cammina attorno al monastero. Il seggio di questo monaco dovrebbe trovarsi alla destra o alla sinistra di Mañjuśrī, a seconda delle circostanze. Dovrebbero essere offerte solo le qualità più nobili di incenso, quali jinko, senko, ecc. L’incenso dovrebbe essere preparato personalmente dal devoto. Mentre questi fa il giro del monastero, tutti i monaci dovrebbero rimanere nella posizione di gasshō.
In seguito, dovrebbe avvenire la donazione. La quantità e il tipo di donazione dipendono dal devoto. Alle volte vengono offerti cotone, ventagli, ecc. Il laico può fare l’offerta di persona, oppure tramite il segretario generale, o un monaco attendente. L’offerta dovrebbe essere posta davanti ai monaci, e non data direttamente loro. Tutti i monaci dovrebbero fare gasshō all’atto dell’offerta. A volte la donazione è portata prima del pasto mattutino. In questo caso, si suona la tavola degli annunci e il monaco capo introduce il dono. Il merito dell’offerta del devoto deve essere annotato e posto sul pilastro a sinistra di Mañjuśrī.
Quando si salmodiano i sūtra nel monastero, ciò dovrebbe avvenire a voce bassa, non alta. In alcune occasioni i sūtra non sono letti ma semplicemente srotolati, e i monaci ne guardano solo i caratteri. In questo caso, utilizziamo generalmente sūtra quali il Sūtra del Diamante, alcuni capitoli del Sūtra del Loto, o il Sūtra della Luce Dorata, ecc. Nel monastero si dovrebbero custodire un gran numero di questi sūtra. Ogni monaco dovrebbe averne una propria copia. Una volta terminato di salmodiare, i sūtra sono riposti nello speciale vassoio o nella scatola portata da uno dei monaci. Allora i monaci dovrebbero fare gasshō e intonare, a bassa voce, le strofe di chiusura.
Per il compleanno dell’Imperatore, la lettura dei sūtra avviene in questo modo. Nel giorno stabilito[15] si inizierà con un discorso sul Dharma. Si costruiranno, nella Sala del Buddha, due piattaforme di fronte all’immagine di Śākyamuni. Queste devono essere rivolte ad est, e correre da nord a sud. Tra le due piattaforme deve essere collocato un leggio per i sūtra. Sul leggio verrà posto un sūtra come il Sūtra del Diamante, il Ninnō Sūtra, il Sūtra del Loto, o il Suvarnaprabhāvā-sottamaraja-Sūtra, ecc.
Ogni giorno deve essere servita a tutti i monaci qualche piccola piacevolezza, come taglierini, minestra o focacce dolci. Queste ultime devono essere poste in una ciotola con i bastoncini e non con un cucchiaio. Mangiate lo spuntino là dove vengono salmodiati i sūtra e non portatelo in nessun altro luogo. Il cibo deve essere posto vicino ai sūtra e non è necessario preparare un tavolo apposito. Finito lo spuntino, i monaci devono recarsi ai gabinetti per fare dei gargarismi; tornano quindi ai rispettivi posti per iniziare la lettura dei sūtra. Essi devono leggere ininterrottamente, dal pasto mattutino fino a mezzogiorno. Tre colpi di tamburo segnalano il momento del pasto di mezzogiorno e la fine della lettura per quel giorno.
Un’insegna gialla che annuncia la celebrazione del compleanno dell’Imperatore, deve essere posta, fin dal primo giorno, sul lato orientale del cornicione che fronteggia la Sala del Buddha, o sul pilastro orientale dentro la Sala. Il nome dell’abate deve essere scritto su un pezzo di carta rossa o bianca con l’anno, il mese e il giorno della celebrazione. La lettura dei sūtra deve continuare in tal modo fino al giorno del compleanno dell’Imperatore. Per sottolineare la celebrazione, l’abate tiene un discorso sul Dharma. Questa è una usanza antica e consolidata. Talvolta, un monaco particolarmente diligente vorrà leggere i sūtra di sua iniziativa. Ogni tempio dovrebbe avere una sala apposita, per la lettura dei sūtra. Coloro che intendono leggere i sūtra, dovrebbero recarsi lì. Dovete seguire, per questo tipo di lettura, le regole esposte nello Shingi.[16]
Una volta, il Grande Maestro Yakusan Kodō chiese al novizio Kō: “Cosa è più vantaggioso: leggere i sūtra o studiare sotto un maestro?” Kō disse: “Non serve a niente né leggere i sūtra né studiare sotto un maestro.” Yakusan disse: “Sei acuto. Ma se nessuna delle due cose serve, come si può conseguire il Risveglio?” Kō disse: “Non intendevo dire che nessuno può conseguirlo, bensì che né i sūtra né l’insegnamento di un maestro, possono fornirne l’essenza.”
Alcuni accolgono l’essenza dell’insegnamento dei Buddha e dei Patriarchi, altri no. Ciò nonostante, leggere i sūtra e studiare sotto un maestro, non sono altro che la vita quotidiana dei Buddha e dei Patriarchi.
Trasmesso ai monaci del Koshōhōrinji nell’Uji, Yamashiro, il 15 settembre 1241.
Trascritto da Ejō, l’8 luglio 1245, nell’alloggio del discepolo principale del Daibutsuji, Yoshida, nell’Echizen.
[1] Il Maestro Yakusan Igen (745-828), uno dei successori del Maestro Sekitō Kisen. Kōdō Zenji è il suo titolo postumo. [Yao-shan Wei-yen]
[2] L’Abhidharma, è il canestro dei commentari che, assieme a Sūtra (i discorsi) e Vinaya (i precetti), forma il Tripitaka, i tre canestri dell’Insegnamento.
[3] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]
[4] Il carro del bue bianco rappresenta la Via del Buddha.
[5] Cioè, l’identità degli opposti.
[6] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]
[7] I tre canestri dell’Insegnamento. Sono suddivisi in Sūtra (i discorsi), Vinaya (i precetti), e Abhidharma (i commentari).
[8] Cioè i tre veicoli (dal sanscrito trikāya) dell’anziana signora.
[9] Il Maestro Daizui Hōshin (834-919), che è nella linea di trasmissione del Maestro Hyakujō Ekai. [Ta-sui Fa-chen]
[10] Il Maestro Tōzan Ryōkai (807-869), nella linea di trasmissione del Maestro Yakusan Igen. [Tung-shan Liang-chieh]
[11] Il Maestro Yakusan Igen (745-828), uno dei successori del Maestro Sekitō Kisen. Kōdō Zenji è il suo titolo postumo. [Yao-shan Wei-yen]
[12] Il Maestro Yafu Dōsen (?). Scrisse dei commentari sul Sūtra del Diamante. Iinsegnò sul monte Yafu-zan, nell’era Ryūko (1163-1164), della dinastia Sung del Sud.
[13] Il Maestro Ungo Dōyō (835-902), uno dei successori del Maestro Tōzan Ryōkai. Kōkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Yün-chü Tao-ying]
[14] Lett. “Il palmo delle mani unito”. È il saluto tradizionale, all’interno di un monastero o di un tempio.
[15] Bisogna tenere presente che la lettura dovrà avere inizio un mese prima del giorno del compleanno dell’Imperatore.
[16] Si tratta del Ch’anyüan Ch’ing kuei (Criteri per monasteri Zen), un testo scritto nel 1103 dal Maestro Chōro Sōsaku (?) [Ch’ang-lu Tsung-tse]