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RAIHAITOKUZUI
Prostrarsi e Conseguire il Midollo
Il Maestro Dōgen, attraverso una serie di racconti legati agli antichi maestri, mostra il reale percorso, l’addestramento e la prassi verso la ricerca della verità, sottolineando l’assoluto ed incondizionato rispetto che tutti dobbiamo alla Bodhi e a chi l’ha conseguita. “Anche se fosse un ragazzo, una donna, un dèmone, o un animale come una volpe selvatica, se ha ottenuto la verità dobbiamo venerarlo di tutto cuore.”
Quando studiamo per ottenere la perfetta e suprema illuminazione, ricevere istruzioni da un buon maestro è molto difficile. Non ha alcuna importanza che il maestro sia un uomo o una donna. Gli unici requisiti sono che abbia conseguito la Via e che sia disponibile. Neppure ha importanza che il maestro appartenga al passato, o al presente. Una volta, lo spirito di una volpe selvatica fu trasformato in un monaco di elevata virtù.[1] Questo è il vero modo per ottenere il midollo da una istruzione benefica. Questo è “Il karma non cessa mai”, senza pensiero di sé, o di altri.
Dopo che abbiamo incontrato un vero maestro bisogna troncare tutti i precedenti rapporti, smetterla di sprecare tempo, e addestrarsi seriamente sulla Via, con grande impegno. Dobbiamo poi continuare la prassi, indipendentemente dal fatto che le nostre aspettative siano grandi o piccole. Dovremmo dedicarci a questa prassi immediatamente, con tutte le nostre forze. Studiando in questo modo, tutti coloro che diffamano la Legge non ci turberanno. La storia del Patriarca[2] che si tagliò un braccio ed ottenne il midollo del suo Maestro, non riguarda qualcun altro. Noi siamo di già l’insegnante che ha lasciato cadere corpo e mente. Si ottiene il midollo del proprio maestro e la trasmissione del Dharma mediante la sincerità e la vera fede; sincerità e vera fede non provengono dall’esterno o dall’interno. Il Dharma ha un valore di gran lunga superiore a quello del nostro piccolo corpo. Abbandonate il mondo e seguite la Via. Se pensiamo di contare più del Dharma, esso non sarà mai trasmesso, ricevuto, o conseguito. Mettendo da parte tutti gli altri insegnamenti, riflettiamo su qualcuno degli esempi lasciati da coloro che stimano il Dharma sopra ogni altra cosa.
Dobbiamo apprezzare il Dharma sopra ogni cosa, qualunque essa sia: un pilastro, una lanterna di pietra, oppure il Buddha, volpi selvatiche, dèmoni, uomini o donne. Se una di queste possiede il Grande Dharma e ha ottenuto il midollo del proprio maestro, noi dobbiamo ricevere e preservare il suo Dharma nel nostro corpo e mente, per infiniti kalpa. Possiamo ottenere facilmente un corpo e mente simile alle piantine di riso o di canapa, ai giunchi o ai bambù che crescono dappertutto nel mondo; ciò che è molto difficile, è trovare il vero Dharma.
Il Buddha Śākyamuni disse: “Quando incontrate un maestro che proclama la suprema illuminazione, non preoccupatevi eccessivamente della sua condizione sociale, nazionalità o aspetto, e neanche dei suoi difetti o del suo comportamento. Egli dovrebbe essere grandemente rispettato solo per la sua saggezza; procurategli dunque del buon cibo ogni giorno, onoratelo con vivande paradisiache e con fiori celestiali. Rendetegli omaggio con tre prostrazioni, ogni giorno, ed evitate l’insorgere di qualsiasi cattivo pensiero. Agendo così, sicuramente si aprirà una strada verso il risveglio. Fin dal momento in cui ho sviluppato la determinazione a conseguire il risveglio, ad oggi, mi sono addestrato ininterrottamente in questo modo ed ho conseguito la suprema e perfetta illuminazione.”
Perciò, dovreste chiedere agli alberi e alle pietre di proclamare il Dharma, trovare risaie e villaggi per udire le loro spiegazioni, interrogare pilastri rotondi e studiare tegole e muri. Una volta, Indra si prostrò ad una volpe e la interrogò sul Dharma; quella volpe era chiamata Grande Bodhisattva. L’azione della volpe era indipendente da un karma più o meno nobile. Tuttavia, gli sciocchi che non hanno mai udito il Dharma del Buddha si considerano dei grandi monaci e rifiutano di prostrarsi ad un giovane che abbia conseguito il Dharma. Essi dicono: “Noi ci siamo addestrati per molti anni e ci rifiutiamo di prostrarci a coloro che hanno cominciato a studiare tardi nella vita ed hanno conseguito il Dharma. Poichè abbiamo acquisito il titolo di maestro, non possiamo prostrarci a chi ne è privo. Abbiamo la responsabilità di far rispettare le regole e non dovremmo inchinarci ad un monaco comune solo perché ha ottenuto il Dharma; siamo monaci anziani e non possiamo prostrarci a laici, uomini o donne, che abbiano conseguito il Dharma. Siamo simili a coloro che hanno acquisito i tre stadi abili e le dieci sacre condizioni,[3] per cui non ci si dovrebbe chiedere di inchinarci alle monache che hanno conseguito il Dharma. Siamo discendenti della famiglia imperiale e non ci prostreremo a ministri o attendenti, anche se hanno conquistato il Dharma.” Questi sciocchi, infruttuosamente lasciano la loro patria per girovagare in altre contrade, senza mai vedere né udire la Via del Buddha.
Molto tempo fa, il Grande Maestro Jōshū Shinsai,[4] della dinastia Tang, sviluppò la determinazione a cercare il risveglio ed iniziò un pellegrinaggio. Egli disse a se stesso: “Chiederò istruzione a chiunque abbia una conoscenza superiore alla mia, fosse anche un bambino di sette anni, e non parlerò con nessuno che mi sia inferiore, avesse anche cent’anni; piuttosto, io insegnerò a lui.”
Interrogare sul Dharma un bambino di sette anni e prostrarsi a lui, pur essendo molto più vecchi, è assai lodevole ed è il giusto atteggiamento mentale di un vecchio Buddha. Analogamente, quando un monaco che ricerca la Via incontra una monaca che abbia conseguito la Via e il Dharma e, prostratosi davanti a lei, la interroga sulla Legge, questo costituisce un eccellente esempio di vero studio. È come placare una sete ardente.
Il Maestro Zen cinese Shikan,[5] era un monaco anziano nella linea di discendenza del Maestro Rinzai. La prima volta che Rinzai[6] vide arrivare Shikan, gli chiese di fermarsi un momento. “Va bene” disse Shikan. E Rinzai: “Stavo per darti una sberla, ma ho cambiato idea.” Da allora Shikan divenne allievo di Rinzai. In seguito, Shikan lasciò il suo Maestro e si recò sul monte Matsuzan, per incontrare la monaca Ryōnen.[7] Il Maestro Matsuzan gli chiese: “Da dove vieni?” Shikan rispose: “Dalla bocca della strada.” Matsuzan disse: “Perché non copri quella bocca?” Shikan non seppe replicare; si prostrò davanti a lei e divenne suo allievo.
Un’altra volta Shikan le chiese: “Quale genere di montagna è il Matsuzan?” “La sua cima non può essere vista” rispose Matsuzan. E Shikan: “Che tipo di gente vive su questa montagna?” Matsuzan disse: “Non hanno forma né di uomini né di donne.” Shikan chiese: “Perché non ti trasformi in un uomo?” Lei disse: “Non sono lo spirito di una volpe selvatica, come posso dunque mutarmi?”[8] Shikan allora le si prostrò innanzi, decise di ricercare presso di lei il risveglio, e studiò sotto di lei per tre anni.
Più tardi, manifestatosi al mondo,[9] Shikan disse ai suoi allievi: “Ho ricevuto un mestolo pieno a metà dal vecchio Rinzai, e un’altra metà dalla vecchia Matsuzan; così fa un mestolo colmo. Ora sono totalmente soddisfatto e non cerco nient’altro.” Riconsiderando quest’antica storia possiamo vedere che Matsuzan, una delle migliori allieve di Kōan Daigu,[10] col trasmettere la linfa vitale del suo Maestro divenne la vecchia di Shikan.
Rinzai era l’erede nel Dharma del Maestro Zen Ōbaku Kiun[11] e possedeva la forza derivante da una prassi assidua; così divenne il vecchio di Shikan. ‘Vecchio’ significa padre e ‘vecchia’ significa madre. Le prostrazioni di Shikan e la sua ricerca del Dharma sotto Matsuzan, costituiscono un’eccellente illustrazione della prassi del Buddha e sono un esempio dell’integrità di un monaco e dell’abbattimento di qualsivoglia barriera.
La monaca Myōshin era allieva di Gyōzan.[12] Una volta, Gyōzan stava cercando qualcuno che fosse idoneo a ricoprire la carica di responsabile amministrativo del monastero. Chiese quindi al più anziano dei monaci di maggiore esperienza di segnalargli una persona adatta. Furono espresse molte opinioni e alla fine Gyōzan disse: “La monaca Myōshin, del distretto di Waisu, è una donna ma ha uno spirito superiore ed è la più qualificata quale responsabile amministrativo.” Tutti si dichiararono d’accordo e Myōshin venne preposta a tale funzione. A quel tempo Gyōzan aveva numerosi eccellenti allievi ma nessuno di essi fu scontento di questa decisione. Benché la sua posizione non fosse la più importante, Myōshin fece del suo meglio e si prese cura degli altri come di se stessa.
Un giorno, mentre lavorava nell’ufficio amministrativo, diciassette monaci del distretto di Shoku arrivarono per incontrare il suo Maestro. Essi avrebbero subito voluto salire sulla montagna, ma era troppo tardi e così si fermarono in quello stesso edificio. La sera, iniziarono a discutere sulla famosa storia del sesto Patriarca, la bandiera e il vento.[13] Ciascuno dei diciassette espresse la sua opinione ma tutti erano fuori strada. Myōshin, avendo udito per caso la discussione, disse: “È un vero peccato che diciassette asini abbiano consumato così tante paia di sandali in pellegrinaggi e che, ancora, non possano neppure sognarsi il Dharma del Buddha.” L’assistente di Myōshin, più tardi, riferì loro cosa il suo Maestro pensasse di quella discussione, ma nessuno di essi fu scontento o risentito. Al contrario, si vergognarono di non aver ancora conseguito la Via. Allora si rassettarono le vesti, offrirono dell’incenso, si prostrarono, e le chiesero l’insegnamento.
Myōshin disse: “Prego venite più vicino” e, prima ancora che avessero il tempo di avvicinarsi, gridò: “Il vento non si muove, la bandiera non si muove, la mente non si muove!” Udendo questo tutti loro guardarono nei propri cuori, poi si inchinarono a lei, in segno di gratitudine, e divennero suoi allievi. Poco tempo dopo, tornarono a Seishu, senza neppure fare visita a Gyōzan. In verità, il livello del Maestro Myōshin non è inferiore a quello dei tre saggi e dei dieci santi, e le sue azioni sono l’agire di chi trasmette la corretta tradizione dei Buddha e dei Patriarchi.
Anche oggigiorno, i sacerdoti che sono a capo di monasteri e gli allievi anziani che sono privi di comprensione, dovrebbero chiedere ad una monaca che ha ottenuto il Dharma di venire ad istruirli. Di che utilità sono gli anziani che non hanno conseguito il Dharma? I maestri che insegnano alla gente, devono possedere la visione illuminata. Tuttavia, numerosi sono gli sciocchi maestri, attaccati a corpo e mente, che vengono derisi perfino dalla gente mondana, e pochissimi sono ritenuti in grado d’interpretare il Dharma del Buddha.
Anche tra i laici, qualcuno contesta l’usanza di prostrarsi davanti ai monaci che possiedono la corretta trasmissione; costoro non conoscono il Dharma del Buddha, non studiano, sono simili ad animali, e sono ben lontani dai Buddha e dai Patriarchi. Eppure, se uno è fermamente deciso a consacrare, in modo completo, il corpo e mente al Dharma del Buddha, allora certo il Dharma stesso gli verrà in aiuto. Anche gli sciocchi, in cielo e in terra, sanno riconoscere la genuina sincerità. Può mai essere che la vera Legge di tutti i Buddha non sia in grado di instaurare l’armonia tra tutte le cose? Anche la terra, la sabbia e le pietre sono in grado di esprimere sincerità.
Ai giorni nostri, nei templi cinesi della dinastia Sung, vi sono monache divenute famose per la loro prassi e per aver conseguito il Dharma. Su richiesta dell’Imperatore, esse sono divenute maestri in famosi monasteri ed effettuano molte letture nella Sala del Dharma. Il sacerdote capo e gli altri monaci, tutti, si riuniscono nella Sala del Dharma per ascoltare la loro proclamazione della Legge. Le sessioni di domande e risposte poi, si tengono secondo la consuetudine dei monaci. Questa è una prassi ormai consolidata.
Quando una persona ha conseguito il Dharma ed è perciò diventata un autentico vecchio Buddha, non dovremmo più considerare i rapporti che con lei abbiamo avuto in passato. Nell’incontrare questa persona ci troviamo su un terreno nuovo, particolare, e dovremmo considerare solo le nuove circostanze. Per questo una monaca che trasmette l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, e che è stata onorata e istruita dagli arhat,[14] dai tre saggi e dai dieci santi, dovrebbe essere l’oggetto delle nostre prostrazioni. Cosa vi renderebbe più nobili, il solo fatto di essere maschi? Dopo tutto, la vacuità universale è la vacuità universale, i quattro elementi sono i quattro elementi,[15] e i cinque skandha[16] sono i cinque skandha. Le donne non valgono di meno, e conseguire la Via è una prerogativa sia degli uomini che delle donne. Dobbiamo quindi rispettare allo stesso modo la conquista del Dharma sia da parte degli uni, sia da parte delle altre. Non date peso alle differenze che esistono tra uomini e donne. Questo è un principio basilare della suprema e meravigliosa Via del Buddha.
In Cina si incontrano anche laici che non hanno rinunciato al mondo ma che si sono consacrati al Dharma. Vi sono individui singoli e coppie che vivono a casa loro, conducendo una vita limpida e pura, in mezzo alle brutture e all’inquietudine di questo mondo. Tutte queste persone cercano di far luce su quelle stesse cose investigate dai maestri che sono stati ordinati monaci e che vivono assieme per studiare, prostrarsi e ricevere istruzioni. È indifferente che essi siano uomini, donne, o animali. Coloro che non hanno mai visto, neppure nei loro sogni, il Dharma del Buddha – e questo riguarda anche monaci vecchi di cent’anni – non sono certo superiori ad un laico, uomo o donna, che abbia conseguito il Dharma. Eppure, quelli si inchinano a questi solo nel modo in cui il padrone di casa si inchina all’ospite.
Chiunque studi e ottenga il Dharma del Buddha, fosse anche una ragazzina di sette anni, sarà guida e padre compassionevole per tutti: monaci o monache, laici ed esseri senzienti. Nel Sūtra del Loto si narra della figlia di un re dei Draghi che divenne un Buddha; essa dovrebbe essere onorata, venerata, e rispettata come tutti i Buddha e i Tathāgata.[17] Questa è l’antica prassi della Via del Buddha. Tutti coloro che non lo sanno e che non possiedono la corretta trasmissione, sono da compatire grandemente.
Scritto nel 1240, in una limpida giornata di marzo, nel Kannondōri-Koshōhōrinji.
[1] Si veda il cap. 68, Daishugyō.
[2] Si riferisce al Maestro Taiso Eka. Si veda il cap. 38, Kattō ed il cap. 16, Gyōji.
[3] Un Bodhisattva, prima di poter divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità” ed infine, il cinquantaduesimo stadio è “La sottile condizione della verità”.
[4] Il Maestro Jōshū Jūshin (778-897), uno dei successori del Maestro Nansen Fugan. [Chao-chou Ts’ung-shen]
[5] Il Maestro Kankei Shikan (?-895), uno dei successore del Maestro Rinzai. [Kuan-hsi Chih-hsien]
[6] Il Maestro Rinzai Gigen (?-867), uno dei successori del Maestro Ōbaku Kiun. Eshō Zenji è il suo titolo postumo. [Lin-chi I-hsüan]
[7] Il Maestro Matsuzan Ryōnen (?), una monaca erede nel Dharma del Maestro Kōan Daigu.
[8] Si veda il cap. 68, Daishugyō.
[9] “Manifestare se stessi al mondo” è riferito a quando si diviene maestro di un grande tempio.
[10] Il Maestro Kōan Daigu (?), nella linea di trasmissione del Maestro Baso Dōitsu. [Ta-yü]
[11] Il Maestro Ōbaku Kiun (?-855?), uno dei successori del Maestro Hyakujō Ekai. [Huang-po Hsi-yün]
[12] Il Maestro Kyōzan Ejaku (833-887), successore del Maestro Isan Reiyū. [Yang-shan Hui-chi]
[13] Si veda il cap. 17, Immo.
[14] Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) passi attraverso quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'entrata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed ultimo è arhat.
[15] I quattro elementi, dal sanscrito catvā mahābhūtāni, sono: terra (peso e leggerezza), acqua (coesione e fluidità), fuoco (caldo e freddo), vento (impulso e movimento).
[16] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensazione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza di-scriminante).
[17] Si veda il Sūtra del Loto, pag. 248.