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HACHIDAI-NINGAKU
Gli Otto Grandi Mezzi al Risveglio
Prima di entrare nel parinirvāna, il Buddha Śākyamuni trasmise un ultimo Insegnamento. Il Maestro Dōgen, sentendo avvicinarsi il momento della sua morte, ritenne di esporre questo insegnamento, quasi fosse un lascito particolare per i suoi discepoli. Di fatto fu il suo ultimo insegnamento pubblico.
Tutti i Buddha del passato sono stati esseri illuminati. Avendo saputo padroneggiare gli otto mezzi che dalla condizione di esseri umani conducono al nirvāna, essi hanno conseguito la grande illuminazione. Questi otto mezzi sono stati spiegati dal Buddha Śākyamuni stesso, nel suo insegnamento finale, prima di entrare nel parinirvāna.[1]
Il primo di tali mezzi è la mancanza di avidità, che conduce alla libertà dai cinque desideri.[2] Il Buddha disse: “Monaci! Colui che nutre desideri senza limiti e cerca solo la gratificazione della notorietà e della ricchezza, soffrirà molto. Al contrario, tutti coloro che si accontentano di poco sono liberi da ogni sofferenza ed accumulano grande merito e virtù. Dovremmo essere consapevoli di ciò. Questi ultimi, essendo liberi dall’avidità, non sono schiavi né dei desideri degli altri né dei loro propri cinque organi sensoriali. La loro mente diviene chiara e tranquilla, e senza dubbio essi conseguiranno il nirvāna.”
Il secondo mezzo è la capacità di accontentarsi, di essere pienamente appagati da qualsiasi cosa si riceva. Il Buddha disse: “Monaci! Mantenete la consapevolezza del merito dell’appagamento, in quanto ciò conduce alla liberazione dalla sofferenza, ad una mente pacificata e alla buona sorte. Davvero una persona appagata è contenta anche quando deve dormire sul nudo suolo. Gli insoddisfatti, al contrario, sono scontenti anche se abitano in una casa lussuosa. Generalmente si pensa che questi ultimi siano ricchi e gli altri poveri. In realtà, invece, è vero il contrario. Una persona appagata compatisce chi è insoddisfatto perché questi è schiavo dei cinque desideri. Questo è il significato della capacità di accontentarsi.”
Il terzo mezzo è saper gustare la tranquillità. Questo significa vivere in solitudine, lontano dalle sofferenze mondane. Il Buddha disse: “Monaci! Coloro che vivono in solitudine ottengono le virtù della pace eterna. Una persona tranquilla è rispettata da Indra e da tutti gli esseri celestiali. Essa si libera dall’attaccamento a se stesso, troncando così la radice della sofferenza. Coloro che vivono con gli altri, saranno da questi ostacolati, proprio come un albero che rinsecchisce quando molti uccelli vi si posano. Un uomo aggrappato ai desideri mondani è come un vecchio elefante sprofondato nel fango, entrambi non sono in grado di liberarsi ed entrambi alla fine periranno. Questo è il significato della vita solitaria.”
Il quarto mezzo è la diligenza, vale a dire lo sforzo costante di fare bene. Il Buddha disse: “Monaci! Nell’addestramento siate diligenti perché questo affretta la comprensione della verità. Perciò dovete essere diligenti. Il gocciolio dell’acqua, se costante, scava la pietra; lo studio della Via, se costante, erode gli ostacoli che si frappongono al risveglio. Sfregare di tanto in tanto due bastoncini tra di loro, non produrrà mai il fuoco. Analogamente, ogni addestramento privo di continuità, non produrrà il risveglio. Questo è il vero significato della diligenza.”
Il quinto mezzo è mantenere la consapevolezza del Dharma. Questo significa avere una corretta memoria del Dharma. Il Buddha disse: “Monaci! Coloro che ricercano un buon maestro, una guida alla verità, dovrebbero mantenere una corretta consapevolezza del Dharma, perché ciò conduce alla libertà dall’illusione. Date retta a queste parole. Perderete ogni merito associato al Dharma, trascurando questo aspetto. Al contrario, serbando la consapevolezza del Dharma, otterrete protezione dai cinque desideri e sarete come un soldato rivestito di un’impenetrabile armatura. Questo è il significato di mantenere la consapevolezza del Dharma.”
Il sesto mezzo è l’esercizio del samādhi, vale a dire la stretta adesione al Dharma. Il Buddha disse: “Monaci! Imparate a controllare la mente, perché questo vi metterà in grado di esercitare il samādhi e di realizzare così la vera condizione di vita e morte; siate poi diligenti nell’esercizio delle diverse forme di samādhi, perché questo concentra la mente e previene la distrazione. Una diga impedisce la dispersione dell’acqua; allo stesso modo, l’esercizio del samādhi impedisce la dispersione della saggezza. Questo è il significato del samādhi.”
Il settimo mezzo è l’esercizio della saggezza. La saggezza è il risultato di un addestramento conforme al Dharma che si è udito e meditato. Il Buddha disse: “Monaci! Un uomo di saggezza è libero da ogni attaccamento al desiderio. Sforzatevi di guardare in voi stessi perché ciò impedisce la perdita della saggezza e conduce al risveglio. Se non agite così, non siete né monaci né laici. Un uomo veramente saggio è come una nave robusta che varca i mari della vecchiaia, della malattia e della morte, è come una luce splendente che rischiara il buio dell’ignoranza, è come una medicina efficace per il malato, ed è come un’ascia affilata che apre la strada nella selva dell’illusione. La saggezza che sorge grazie all’aver udito, meditato ed esercitato il Dharma, produce innumerevoli vantaggi che fanno progredire nella Via. La verità, quando sia illuminata dalla luce della saggezza, risulta evidente anche a occhio nudo. Questo è il significato della saggezza.”
L’ottavo mezzo è astenersi dai discorsi frivoli. Questo significa trascendere il pensiero discriminante e cercare con ardore la conoscenza della vera natura di tutte le cose. Il Buddha disse: “Monaci! I discorsi frivoli annebbiano la mente ed impediscono perfino a voi che siete monaci, di realizzare il risveglio; smettete dunque immediatamente di perdervi in discorsi oziosi che confondono la mente. Soltanto così si ottengono le delizie del nirvāna. Questo è il significato di astenersi dai discorsi frivoli.”
Questi sono dunque gli otto grandi mezzi che portano al risveglio. Poiché ciascuno di questi mezzi si articola in otto fattori, si arriva ad un totale di sessantaquattro. In un senso più ampio, il numero dei fattori è, tuttavia, illimitato. Questi sessantaquattro mezzi rappresentano l’insegnamento finale del Buddha Śākyamuni e costituiscono il nocciolo del Mahāyāna. Il Buddha li trasmise alla mezzanotte del 15 febbraio, e queste furono le sue ultime parole. Rimase quindi in silenzio fino al momento in cui entrò nel parinirvāna.
Il Buddha concluse il suo insegnamento dicendo: “Monaci! Sforzatevi di cercare la Via perché nulla in questo mondo è permanente. Rimanete in silenzio per un po’ perché il tempo passa e sto per entrare nel parinirvāna. Queste sono le mie ultime parole.”
Noi che ci addestriamo nella Via dobbiamo investigare questo insegnamento finale del Tathāgata.[3] Se non lo facciamo, non siamo veramente discepoli del Buddha. Nonostante ciò, ai giorni nostri molti non conoscono tale insegnamento; è una situazione dovuta al fatto che costoro hanno infranto i precetti o non hanno accumulato merito sufficiente.
In passato, sia all’epoca del vero Dharma del Buddha, sia ancora durante il suo declino, tutti gli studenti approfondivano questi mezzi e si addestravano secondo le loro indicazioni. Oggi, soltanto una o due persone su mille sanno della loro esistenza. È veramente deplorevole che il Dharma del Buddha abbia subìto un simile declino. Eppure l’essenza della Legge, intatta e non corrosa dal tempo, ancora esiste e può essere trovata in ogni angolo del mondo. Dovremmo perciò cominciare, subito, ad addestrarci secondo questi otto mezzi.
Non è impresa da poco incontrare il Dharma, così come ugualmente difficile è nascere nella condizione umana. È una grande fortuna aver realizzato queste due condizioni, oltre all’essere nati nel Jambudvīpa[4] – il migliore dei tre continenti – come è capitato a noi. Nel Jambudvīpa possiamo vedere il Buddha, studiare il Dharma ed entrare nel Samgha. Coloro che sono morti prima che il Tathāgata entrasse nel parinirvāna, non sono riusciti a conoscere questi otto mezzi che conducono all’illuminazione. Noi, invece, grazie al bene operato nelle esistenze precedenti, abbiamo potuto vederli, udirli e studiarli. Se nelle esistenze successive continueremo ad approfondirli, il nostro merito aumenterà e realizzeremo infine la suprema illuminazione; inoltre, insegnandoli ad altri, non siamo diversi dal Bud-dha Śākyamuni.
Scritto ad Eiheiji il 6 gennaio 1253.
Il mio Maestro[5] aveva iniziato a trascrivere l’intero Shōbōgenzō in kana,[6] completando dodici capitoli, con questo. Poiché le cattive condizioni di salute lo hanno infine condotto alla morte, questo capitolo è stato l’ultimo. Mi rincresce veramente che i restanti capitoli non possano essere completati. Coloro che hanno stima del mio defunto Maestro dovrebbero ricopiare questi dodici capitoli e custodirli.
Gli insegnamenti presentati in questo capitolo furono anche gli insegnamenti finali del Buddha Śākyamuni.
[1] Cioè, la completa estinzione.
[2] Si riferisce ai desideri di tipo sensuale: il desiderio del piacere attraverso vista, suono, odorato, sapore e tatto.
[3] Lett. “Così arrivato”.
[4] Nella simbologia indiana, il monte Sumeru è circondato da quattro continenti: Jambudvīpa (a sud), Pūrva-videha (a est), Apara-godāna (a ovest), e Uttara-kuru (a nord). Il Maestro Dōgen parla qui di tre soli continenti perché gli abitanti dell’Uttara-kuru non conoscono il Dharma del Buddha.
[5] Si riferisce al Maestro Dōgen.
[6] Caratteri sillabici giapponesi, e quindi non ideogrammi.