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IPPYAKU-HACHI HŌMYŌ-MON
Le Cento e Otto Porte del Risveglio
Il Maestro Dōgen riporta in questo capitolo un racconto relativo ad una delle precedenti esistenze del Buddha Śākyamuni; nella storia, il Bodhisattva Protettore del Risveglio, sul punto di lasciare il Cielo Tusita, trasmette questi cento e otto insegnamenti.
Prima di scendere dal cielo Tusita, il Bodhisattva Hu-ming entrò nel samādhi, osservò la casa in cui stava per nascere, e invitò nel palazzo grande sessanta yojana[1] quadrati, tutti gli esseri celestiali per esporre loro la Legge. Ben presto si radunò una grande folla ed egli iniziò dicendo: “Sto per nascere nel mondo degli esseri umani. Tuttavia, prima di andarmene, voglio esporvi gli splendenti insegnamenti del Dharma; sarà il mio ultimo insegnamento. Ricordate queste parole perché sono la chiave per accedere ad una gioia illimitata.”
Nel frattempo il palazzo si era colmato all’inverosimile e, dei nuovi arrivati, molti non potevano entrare. Pur essendo impaziente di iniziare il suo discorso, il Bodhisattva vide che era necessario far accomodare tutti quelli che si erano presentati. Creò perciò un secondo palazzo sopra il primo. La bellezza e lo splendore di questo nuovo edificio, con le sue elaborate decorazioni in oro, argento, pietre rare, era incredibile; al confronto, i palazzi di questo mondo sono niente più che tombe. L’immenso potere e la ricchezza di Hu-ming erano la conseguenza del bene prodotto in passato.
Hu-ming entrò nella sala del trono e sedette sul seggio del leone, che era decorato di splendidi gioielli e drappeggiato con numerose stoffe celestiali. Sparsa ai suoi piedi, una profusione di fiori esotici saturava l’aria di delicati profumi, insieme al fumo dell’incenso. Tutto intorno al trono giaceva un’incalcolabile quantità di raffinati tesori che si aprivano a ventaglio nelle quattro direzioni; le facciate esterne del palazzo erano drappeggiate con una rete d’oro finissimo alla quale erano appese innumerevoli campanelle d’oro che risuonavano con un timbro delicato. L’edificio risplendeva di una calda e morbida luce, riflessa dalla moltitudine di bandiere e baldacchini appesi al soffitto.
Gli esseri celestiali lodavano Hu-ming con canti armoniosi mentre altri, recando i sette gioielli,[2] descrivevano il suo straordinario merito e la sua virtù. Il palazzo, oltre che sorvegliato dai re delle Quattro Regioni,[3] era anche vigilato da un incalcolabile numero di Buddha e di Bodhisattva, nonché dai re Sakrendra e Brahmā. Tutto questo costituiva la remunerazione per innumerevoli kalpa di addestramento corretto e diligente, ed anche in quel momento il buon karma di Hu-ming continuava ad accrescersi. Le condizioni di vita di questo Bodhisattva erano veramente al di là di ogni più sfrenata immaginazione. Finalmente, assiso sul Trono del Leone, iniziò il suo discorso:
“O esseri celestiali! Essendo il Bodhisattva che ha raggiunto il massimo livello di realizzazione nel cielo Tusita, ben presto nascerò nel mondo degli esseri umani. Prima di partire, tuttavia, voglio trasmettervi tutti i cento e otto splendenti insegnamenti del Dharma. Comprenderli e ricordarli vi consentirà, se lo vorrete, di rinascere nel mondo umano. Quali sono dunque i cento e otto splendenti insegnamenti del Dharma?
Il primo è la retta fiducia, che fortifica una mente risoluta.
Il secondo è una mente pura, che previene la contaminazione.
Il terzo è essere gioiosi, condizione che è frutto di una mente pacificata.
Il quarto è voler conoscere la verità, cosa che purifica la mente.
Il quinto è la retta azione, che è il concorso di retta azione fisica, retto discorso e retto pensiero.
Il sesto è il retto discorso, che protegge dalle quattro cattive azioni.[4]
Il settimo è il pensiero puro, che distrugge il desiderio, la collera e l’ignoranza.[5]
L’ottavo è la costante consapevolezza del Buddha, consapevolezza che è di per sé purezza.
Il nono è la costante consapevolezza del Dharma, consapevolezza che è di per sé purezza.
Il decimo è la costante consapevolezza del Samgha, che inevitabilmente conduce alla verità.
L’undicesimo è la costante consapevolezza del donare, cioè agire senza pensiero per la ricompensa.
Il dodicesimo è la costante consapevolezza dei precetti, da cui deriva la realizzazione delle nostre aspirazioni.
Il tredicesimo è la costante consapevolezza del cielo, che ispira la mente.
Il quattordicesimo è la compassione, che risveglia il bene negli altri.
Il quindicesimo è la benevolenza, che allevia il fardello degli altri e li protegge dal male.
Il sedicesimo è la gioia, che estirpa la tristezza e consente di partecipare della felicità altrui.
Il diciassettesimo è il non-attaccamento, che ci consente di trascendere i cinque desideri.
Il diciottesimo è la consapevolezza dell’impermanenza, che sconfigge i desideri dei tre mondi.
Il diciannovesimo è la comprensione della sofferenza, che estingue i desideri scorretti.
Il ventesimo è la realizzazione del non-io, che conduce alla libertà dall’io.
Il ventunesimo è il samādhi, che rende limpida la mente.
Il ventiduesimo è la vergogna, che pacifica la mente.
Il ventitreesimo è il rimorso, che inibisce la scorretta azione.
Il ventiquattresimo è la sincerità, che impedisce l’inganno.
Il venticinquesimo è l’onestà, che impedisce l’autoinganno.
Il ventiseiesimo è l'agire in conformità al Dharma, essendo questa la via del Dharma.
Il ventisettesimo è prendere rifugio nei Tre Tesori, perché ciò purifica i tre mondi infausti degli inferi, degli spiriti affamati e degli animali.
Il ventottesimo è la gratitudine, che coltiva il bene.
Il ventinovesimo è ripagare i nostri benefattori, così da non deludere gli altri.
Il trentesimo è non ingannare se stessi, così da evitare l’auto-gratificazione.
Il trentunesimo è elargire benefici, per prevenire la maldicenza.
Il trentaduesimo è la devozione al Dharma, che porta alla verità.
Il trentatreesimo è la consapevolezza istante dopo istante, che previene i discorsi superficiali.
Il trentaquattresimo è il dominio di sé, che perfeziona la saggezza.
Il trentacinquesimo è purgare la mente da ogni male, proteggendo così se stessi e gli altri.
Il trentaseiesimo è la distruzione degli ostacoli mentali, che guarisce dal dubbio.
Il trentasettesimo è la fiducia negli insegnamenti del Buddha, che consente di discernere la verità e realizzare il risveglio.
Il trentottesimo è la contemplazione dell’impurità, che libera la mente da desideri mondani.
Il trentanovesimo è il buon umore, che previene l’animosità.
Il quarantesimo è la chiara comprensione della verità, che inibisce l’uccisione degli esseri senzienti.
Il quarantunesimo è la ricerca del Dharma, che si traduce in un addestramento senza impedimenti.
Il quarantaduesimo è l’amore per il Dharma, che illumina il sentiero del risveglio.
Il quarantatreesimo è il desiderio di udire il Dharma, che manifesta la verità di tutte le cose.
Il quarantaquattresimo è la corretta prassi, che si trasforma in retta azione.
Il quarantacinquesimo è riconoscere che il corpo fisico esiste soltanto come risultante di una temporanea fusione dei quattro elementi e dei cinque skandha; questo libera la mente dal dubbio.
Il quarantaseiesimo è estirpare la causa dell’illusione; ciò conduce al risveglio.
Il quarantasettesimo è trascendere tutti i sentimenti, siano essi di animosità o di affetto, perché ciò consente un’osservazione non discriminante.
Il quarantottesimo è la consapevolezza dell’esistenza transitoria dei sei organi sensoriali, che consente di riconoscere la sofferenza.
Il quarantanovesimo è la consapevolezza che le cose sono tutte essenzialmente uguali, perché ciò ci consente di realizzare la loro temporanea fusione.
Il cinquantesimo è riconoscere la vera natura di tutte le cose, che favorisce un corretto addestramento.
Il cinquantunesimo è la realizzazione che non esiste né nascita né morte, perché questo è risveglio.
Il cinquantaduesimo è la contemplazione dell’impurità del corpo, che pacifica ogni cosa.
Il cinquantatreesimo è la comprensione che qualsiasi sensazione è sofferenza, da cui deriva la libertà dal sentimento illusorio.
Il cinquantaquattresimo è la consapevolezza dell’impermanenza della mente, che conduce alla percezione della mente è illusoria.
Il cinquantacinquesimo è la realizzazione della costante condizione di flusso di tutte le cose, che genera una saggezza incontaminata.
Il cinquantaseiesimo è l’esercizio dei quattro generi di giusto sforzo,[6] cosa che estingue il male e promuove il bene.
Il cinquantasettesimo è le quattro basi del samādhi,[7] che illuminano corpo e mente.
Il cinquantottesimo è la fiducia nei Tre Tesori, che ci impedisce di credere in insegnamenti diversi dal Dharma del Buddha.
Il cinquantanovesimo è la sincera devozione al Dharma, che incrementa la saggezza.
Il sessantesimo è la sostenuta consapevolezza degli insegnamenti del Buddha, che promuove il bene.
Il sessantunesimo è il samādhi, che purifica la mente.
Il sessantaduesimo è la saggezza, che consente la percezione veritiera di tutte le cose.
Il sessantatreesimo è il potere della fede, che permette di trascendere il male.
Il sessantaquattresimo è l’addestramento diligente, che impedisce la regressione della prassi.
Il sessantacinquesimo è il potere della consapevolezza, perché ciò promuove l’indipendenza della mente.
Il sessantaseiesimo è il potere del samādhi,[8] che estingue il pensiero non essenziale.
Il sessantasettesimo è il potere della prajñā,[9] che consente di trascendere le due opposte opinioni.[10]
Il sessantottesimo è l’armonizzazione di prajñā e samādhi, che manifesta la vera natura di tutte le cose.
Il sessantanovesimo è la saggezza insita nella verità, che illumina tutte le cose.
Il settantesimo è la diligenza nell’addestramento, che rivela la verità.
Il settantunesimo è la gioia, che genera stabilità spirituale.
Il settantaduesimo è la tranquillità di corpo e mente, che produce un corretto atteggiamento.
Il settantatreesimo è il retto samādhi, che si traduce in non discriminazione.
Il settantaquattresimo è il non-attaccamento, che consente di non aggrapparsi ai fenomeni.
Il settancinquesimo è la retta comprensione del Dharma, che si traduce poi in risveglio.
Il settantaseiesimo è il retto discernimento, che trascende tanto il pensiero discriminante, quanto quello non discriminante.
Il settantasettesimo è il retto parlare, che consente l’uso non discriminante di nomi, parole e suoni.
Il settantottesimo sono i retti mezzi di sostentamento, che estirpano le azioni malvagie.
Il settantanovesimo è la retta azione, che conduce al risveglio.
L’ottantesimo è la decisione frutto di attenzione, che conduce al pensiero non discriminante.
L’ottantunesimo è il retto samādhi, che riduce la confusione della mente.
L’ottantaduesimo è la mente che cerca il Buddha, perché questo protegge i Tre Tesori.
L’ottantatreesimo è la fiducia nell’insegnamento, che privilegia l’altrui salvezza così da non seguire gli insegnamenti dell’Hīnayāna.
L’ottantaquattresimo è la retta fede, che consente la realizzazione del Dharma supremo.
L’ottantacinquesimo è sostenere il bene, così che il bene possa realizzarsi.
L’ottantaseiesimo è il Dharma Pāramitā,[11] che, salvando le genti dall’avidità, progressivamente rivela il Buddha e diffonde il Dharma in tutte le terre.
L’ottantasettesimo è il Śilā Pāramitā,[12] che aiuta gli altri a non rompere i precetti e che elimina la sventura prodotta dal male.
L’ottantottesimo è lo Ksānti Pāramitā,[13] che rende liberi da collera, egoismo, adulazione e scherno, e che consente di salvare tutti gli esseri senzienti dal male.
L’ottantanovesimo è il Vīrya Pāramitā,[14] che conduce alla realizzazione del bene e aiuta gli altri a non trascurare l’addestramento.
Il novantesimo è il Dhyāna Pāramitā,[15] che consente di realizzare tutte le forme di samādhi e fornisce un appoggio a coloro che sono confusi.
Il novantunesimo è la Prajñā Pāramitā,[16] che porta alla liberazione dall’illusione nata dall’ignoranza della verità e dalle opinioni errate, generate dall’attaccamento.
Il novantaduesimo è l’abilità nell’insegnare, cosa che permette agli altri di comprendere il Dharma secondo la propria capacità.
Il novantatreesimo sono le Quattro Vie all’Emancipazione,[17] che assicurano il conseguimento del risveglio a sé e agli altri.
Il novantaquattresimo è aiutare il prossimo, perché questo impedisce che ci si occupi troppo di se stessi, interessandosi invece agli altri.
Il novantacinquesimo è l’accettazione della Legge, che distrugge l’illusione degli altri.
Il novantaseiesimo è accumulare merito a beneficio degli altri.
Il novantasettesimo è la prassi del samādhi, che consente di acquisire i dieci poteri.[18]
Il novantottesimo è la pace finale, che include il risveglio del Tathāgata.[19]
Il novantanovesimo è la saggezza del Buddha, che è onniscienza.
Il centesimo è l’esposizione del Dharma in modo schietto e franco, chiarendo così la verità.
Il centounesimo è il retto atteggiamento, che consente di ricordare tutti gli insegnamenti del Buddha nella loro interezza.
Il centoduesimo è il potere del Dharma, che consente di ritenere tutti gli insegnamenti del Buddha nella loro completezza.
Il centotreesimo è la capacità di insegnare la Legge generosamente, rendendo così felici tutti gli esseri senzienti.
Il centoquattresimo è la costanza nella prassi, in conformità al Dharma.
Il centocinquesimo è il conseguimento di Anutputtika-dharma-ksānti,[20] che è la realizzazione della Buddhità.
Il centoseiesimo è il conseguimento della condizione della prassi che non regredisce, incarnando così gli insegnamenti del Buddha.
Il centosettesimo è la saggezza, che ci consente di progredire attraverso i vari stadi e che porta verso l’iniziazione ad essa associata[21] e all’acquisizione della conoscenza.
Il centoottesimo è il conseguimento dell’iniziazione, che garantisce la futura suprema illuminazione.”[22]
Concludendo il suo discorso, il Bodhisattva Hu-ming proseguì dicendo: “O esseri celestiali, dovete serbare un costante ricordo di questi cento e otto splendenti insegnamenti.” Essi, infatti, sono i cento e otto insegnamenti del Dharma che tutti i Bodhisattva sempre trasmettono ai celestiali abitanti del cielo Tusita, prima di scendere nel mondo degli esseri umani. Colui che, in quel cielo, era il Bodhisattva Hu-ming, fu poi il Buddha Śākyamuni.
I cento e otto insegnamenti sono riportati nel T’ien-sheng Kuang-teng-lu.[23] Li Fu-ma scrisse questo testo proprio perché pochi studenti della Via conoscevano tali insegnamenti. Coloro che aspirano alla Buddhità e quindi a diventare insegnanti di esseri umani e celestiali, devono assimilarli completamente. Se non sono stati Bodhisattva nel cielo Tusita, gli studenti non dovrebbero essere orgogliosi dei loro limitati conseguimenti. I Bodhisattva del cielo Tusita entrano direttamente nel regno della Buddhità senza dover passare prima attraverso lo stato intermedio, o esistenza di mezzo.
(La data di redazione è sconosciuta).
[1] Uno yojana equivale al percorso che un bue, tirando un carro, riesce a coprire senza cambio: circa quindici chilometri.
[2] I sette tesori, dal sanscrito sapta ratnāni, sono: oro, argento, smeraldi, perle, corallo, ambra, e agata.
[3] I re delle quattro direzioni, dei quattro quarti, o dei quattro cieli; dal sanscrito catvāro mahā-rājikāh, sono quattro re divini, sotto il dio Indra, che dimorano nel primo e più basso dei sei cieli nel mondo del desiderio; ognuno di essi fronteggia una direzione della bussola, attorno al Monte Sumeru.
[4] Le quattro cattive azioni legate al parlare sono: mentire, sospendere il discorso, far uso di parole abusive, far uso di parole ambigue.
[5] I tre veleni.
[6] I quattro generi di giusto sforzo sono: prevenire il sorgere del male, abbandonarlo quando sia sorto, produrre il bene, incrementare il bene prodotto.
[7] Le quattro basi del samādhi sono: chanda, la determinazione; citta, la psiche; vīrya, l’energia; mīmānsā, l’investigazione profonda.
[8] Il samādhi è la condizione di equilibrio della mente pacificata nello zazen, in cui si trascende la discriminazione mente, soggetto, e oggetto. Ve ne sono diversi tipi, per esempio il samādhi del diamante (o vajra-samādhi) che è estremamente chiaro e penetrante ed è il samādhi come condizione di grande stabilità, e il śūramgama samādhi, detto “Samādhi della marcia eroica”, che distrugge tutte le illusioni e porta ad un grande progredire.
[9] La saggezza trascendente, o la forma più alta e completa di conoscenza non-concettuale.
[10] Cioè, le opinioni relative all’esistenza, o alla non-esistenza di qualsiasi cosa.
[11] Il perfezionamento della Legge.
[12] Il perfezionamento dell’etica.
[13] Il perfezionamento della pazienza.
[14] Il perfezionamento dell’energia.
[15] Il perfezionamento della concentrazione nello zazen.
[16] Il perfezionamento della conoscenza trascendente.
[17] I quattro modi sono: elargire doni, sia spirituali che materiali; parlare in modo amichevole; giovare agli esseri senzienti per mezzo del retto contegno di corpo, parola e mente; identificarsi con gli esseri senzienti che si intendono aiutare. Si veda il cap. 89, Bodaisatta Shishōbō.
[18] I dieci poteri sono: il non-attaccamento e la dedizione all’Insegnamento del Buddha, l’aumento del proprio ardore, la giusta abilità nell’istruire e correggere la gente, comprendere il pensiero altrui, soddisfare i desideri altrui, lo sforzo incessante, tener conto degli altri veicoli senza abbandonare il Mahāyāna, la capacità di manifestare i Buddha di tutti i mondi in ciascun poro del corpo, il far sì che la gente si interessi agli insegnamenti del Buddha, il persuadere qualsiasi persona con una sola frase.
[19] Lett. “Così arrivato”.
[20] Si tratta dello stadio in cui il Bodhisattva percepisce la dharmatā, o natura-dharma, cioè la reale natura del mondo fenomenico.
[21] In sanscrito, abhiseka (lett. “Aspersione”). La spruzzatura cerimoniale di acqua sulla testa di un Bodhisattva, che rappresenta la consacrazione o iniziazione.
[22] L’Anuttara-samyak-sambodhi.
[23] Il Tensho-Koto-Roku. Un testo cinese relativo alle storie e alle parole degli antichi maestri.