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UDONGE
Il Fiore di Udumbara
È questo un fiore dalle sembianze particolari. Infatti i suoi petali avvolgono il frutto, come una buccia. A causa di ciò, nell’India antica, si riteneva fosse un albero privo di fiori; per questo il fiore di udumbara simboleggiava un accadimento raro, quale ad esempio la realizzazione della verità. Il capitolo è interamente dedicato alla trasmissione del Buddha sul Picco dell’Avvoltoio e agli insegnamenti del Maestro Nyojō, su questo tema.
Una volta, il Buddha Śākyamuni stava predicando ad una grande assemblea radunata sul Picco dell’Avvoltoio. Egli sollevò un fiore di udumbara senza parlare, ed ammiccò. Allora Mahākāśyapa sorrise. Śākyamuni disse: “Possiedo l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge e la Serena Mente del Nirvāna. Questo ora conferisco a Mahākāśyapa.”
Tutti i sette Buddha del passato, Śākyamuni compreso, e tutti i Patriarchi venuti dopo,[1] hanno sollevato un fiore ed hanno trasmesso la vera Legge in questo modo. Sollevare il fiore è sollevare la mente-di-Buddha: è la realizzazione del loro risveglio. Tutti gli aspetti del fiore, ideale e reale, soggettivo e oggettivo, esterno e interno, sono contenuti nell’atto di alzare il fiore. Il fiore nella sua piena totalità è l’originaria mente-di-Buddha ed è l’originario corpo-di-Buddha.
Da quando il Buddha Śākyamuni alzò per la prima volta il fiore, fino a oggi, esso non è mai andato perduto. È stato incessantemente trasmesso da Buddha a Buddha e da Patriarca a Patriarca. Nel momento in cui sollevò il fiore, Śākyamuni manifestò l’eternità: questo è ciò che trasmise ai Suoi successori. L’atto di sollevare il fiore trascende passato, presente e futuro e avviene in un’eterna atemporalità. Perciò dobbiamo sollevare lo stesso fiore assieme a Śākyamuni. Ciò nonostante, il fiore solleva se stesso, vale a dire che ogni fiore, fiori di pruno, fiori di primavera, fiori di neve, fiori di loto, ecc. può realizzare la sua propria reale natura. La frase del Patriarca Bodhidharma: “Un fiore sboccia e cinque petali si schiudono”,[2] è il fiore di udumbara che contiene tutti i trecento sessanta sermoni di Śākyamuni ed i cinquemila ottantaquattro volumi del Tripitaka.[3] Contiene le classificazioni dei tre veicoli, delle dodici suddivisioni dell’insegnamento,[4] dei tre stadi e delle dieci sacre condizioni.[5] Il fiore non è sopraffatto da queste cose, e anzi contiene molte altre cose miracolose.
Abbiamo esempi di molti maestri che illustrarono il sollevare un fiore, quali: “Un fiore sboccia, cinque petali si schiudono. Questo è il vero e naturale momento”, e ancora: “Sollevare il fiore è sollevare il fiore della mente-di-Buddha”,[6] o la storia dei fiori di pesco[7] e del suono della tegola che colpisce il bambù,[8] o ancora tagliarsi via il braccio, stando nella neve fino alla cintola, per mostrare la propria determinazione,[9] o lavorare nella baracca per la pulitura del riso e ricevere il kesa.[10] Tutti questi esempi rivelano la reale natura del fiore di udumbara tenuto in mano da Śākyamuni; in verità si tratta della vita stessa di Śākyamuni.
Il sollevare il fiore è sempre esistito, prima, durante, e dopo il conseguimento della Via da parte di Śākyamuni. Quindi, il conseguimento della Via da parte di Śākyamuni è il conseguimento della Via da parte del fiore di udumbara. Esso trascende il tempo. Il primo risveglio, l’iniziare la Via, la prassi e il risveglio finali di tutti i Buddha e i Patriarchi, possono essere paragonati ad una farfalla che danza nel vento. Śākyamuni si nasconde nel fiore di udumbara e si manifesta come fiore di udumbara. Allo stesso modo Egli si nasconde nello spazio ma, in realtà, è lo spazio stesso. Qui il Buddha Śākyamuni è la realizzazione del fiore di udumbara. Śākyamuni è sinonimo di vacuità universale e di sollevare il fiore. Sollevare il fiore non significa solo alzarlo con le dita; il fiore è sollevato con la chiara visione dalla mente del Buddha stesso. Montagne, fiumi, cielo e terra, il sole, la luna e la terra, pioggia e vento, esseri umani e animali, gli alberi e le erbe, tutti questi non sono altro che il sollevare il fiore di udumbara. Vita e morte, venire e andare, sono le sue diverse forme, sono la sua luce infinita. Anche il nostro studio odierno non è altro che un aspetto del fiore di udumbara.
Il Buddha Śākyamuni disse: “Il fiore di udumbara è magnifico e tutti gli esseri lo ammirano.” ‘Tutti gli esseri’, è qui la continua manifestazione della luce infinita di tutti gli esseri come erbe, alberi, insetti, Buddha e Patriarchi. ‘Ammirano’ è la spontanea e vitale azione di corpo e mente attraverso la pelle, la carne, le ossa e il midollo. Inoltre, essa è continuamente rivelata e nascosta. Tuttavia, essere capaci di comprendere veramente questo è raro quanto il fiore di udumbara.
Il Buddha Śākyamuni, sedendo in zazen sotto l’albero della Bodhi, all’improvviso sbatté gli occhi e vide la stella del mattino; il Suo occhio-di-Buddha si aprì. In quel momento, il movimento dei Suoi occhi fu lo stesso di quando ammiccò, sollevando il fiore di udumbara, e Mahākāśyapa sorrise. Il volto di Mahākāśyapa divenne come il fiore tenuto da Śākyamuni.
Nel momento in cui Śākyamuni ammiccò, anche noi perdemmo la nostra visione ordinaria e il nostro occhio-di-Buddha si aprì. Il Suo ammiccare era un’azione del fiore di udumbara. È il momento nel quale l’udumbara fiorisce. Quando questo fiore viene sollevato, ogni cosa sta sollevando il fiore: Mahākāśyapa, gli esseri senzienti e tutti noi. Questa azione di sollevare il fiore non è mai cessata, ma è continuata fino ad ora. Inoltre, il nostro intero corpo diviene la mano che alza il fiore. Possiamo dire che un fiore di udumbara forma corpo e mente, diventa i quattro elementi[11] e i cinque skandha.[12]
Quando il Buddha Śākyamuni disse “Possiedo”, era come se dicesse “Conferisco”, poiché ciò che è conferito è sicuramente posseduto. Nell’affermazione di Śākyamuni le parole più importanti sono “Io possiedo.” Questo dovrebbe essere il punto focale del nostro studio. Così, quando ‘possiedo’ si trasforma in ‘conferisco’, l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge diventano nostri.
“Bodhidharma venne da occidente” è lo stesso che sollevare il fiore. E sollevare il fiore si può chiamare “Completa e indivisa concentrazione”, cioè shikantaza,[13] o “Corpo e mente lasciati cadere.” Diventare un Buddha o un Patriarca è un altro esempio di completa e indivisa concentrazione; tale atteggiamento mentale deve essere mantenuto in ogni nostra attività quotidiana come indossare gli abiti o mangiare riso. Dopo tutto, per i Buddha e per i Patriarchi, la cosa più importante è questa attenzione completa ed indivisa. Se saprete manifestare questo spirito nel prostrarvi nella Sala del Buddha, o nel sedere in zazen nel monastero, il fiore della vostra mente diventerà più brillante ed ogni cosa attorno a voi diventerà più bella. In questo profondo stato la sensazione è quella di un monastero avvolto nelle nubi, un attimo prima che venga colpito l’han,[14] o quella di uno sho[15] che suona come se andasse alla deriva sul greto di un fiume. L’attività di un fiore di udumbara fa soffiare il vento di primavera e fiorire il germoglio di pruno.
Il mio defunto Maestro Nyojō, disse: “Quando Śākyamuni perse la Sua visione ordinaria, fu come se germogliasse nella neve un singolo ramo di pruno. Non appena i germogli furono pienamente sbocciati, dei sottili rami apparvero ovunque. Invece di meravigliarsi di ciò, la gente dovrebbe ridere al vento di primavera che soffia impetuoso.”
Nyojō voleva dire che la chiara visione del Tathāgata[16] divenne fiori di pruno e che i fiori di pruno diventano rami sottili. Il Buddha è nascosto nell’occhio-di-Buddha, l’occhio-di-Buddha è nascosto nei fiori di pruno, e i fiori di pruno sono nascosti nei rami sottili. Allora soffia il vento di primavera e i fiori di pruno spontaneamente cadono creando una musica gentile.
Il mio defunto Maestro Nyojō, disse anche: “Reiun[17] ha raggiunto il risveglio vedendo sbocciare i fiori di un pesco, io l’ho raggiunto vedendoli cadere.” Dobbiamo chiarire questo. Reiun disse di aver raggiunto l’illuminazione vedendo sbocciare i fiori di un pesco; egli realizzò la verità e confermò la sua fede. Nyojō conseguì il risveglio quando vide cadere i fiori di un pesco; essi fioriscono perché il vento di primavera li ama e, tuttavia, cadono perché il vento li odia. Ma, indipendentemente da quanto il vento di primavera li ami o li odi, i fiori di pesco ancora cadono e realizzano il lasciar cadere corpo e mente.
Così fu detto, il 12 febbraio 1244, ai monaci del Kippōji, nell’Echizen.
Ricopiato il 6 febbraio 1312.
[1] Si veda il cap. 52, Busso.
[2] Si veda il cap. 14, Kuge.
[3] Tripitaka: i tre canestri dell’Insegnamento. Essi sono suddivisi in Sūtra (i discorsi), Vinaya (i precetti) e Abhidharma (i commentari).
[4] Si veda il cap. 34, Bukkyō.
[5] Un Bodhisattva, prima di divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono: i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità”, e il cinquantaduesimo stadio è “La sottile condizione della verità”.
[6] Parole del Maestro Tendō Nyojō.
[7] Si riferisce all’esperienza del Maestro Reiun Shigon.
[8] Si riferisce all’esperienza del Maestro Kyōgen Chikan.
[9] Si riferisce al Maestro Taiso Eka.
[10] Si riferisce alla trasmissione dal Maestro Daiman Kōnin al Maestro Daikan Enō. Si veda il cap. 16, Gyōji.
[11] I quattro elementi, dal sanscrito catvā mahābhūtāni, sono: terra (peso e leggerezza), acqua (coesione e fluidità), fuoco (caldo e freddo), vento (impulso e movimento).
[12] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensazione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza discriminante).
[13] Sedere in zazen con mente universa, senza scopo.
[14] Una tavola armonica di legno utilizzata nei monasteri per dare dei segnali.
[15] Un antico strumento a canne.
[16] Lett. “Così arrivato”.
[17] Il Maestro Reiun Shigon (?), uno dei successori del Maestro Isan Reiyū (771-853). [Ling-yün Chih-ch’in]]