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HOTSUMUJŌSHIN
Lo Sviluppo della Mente Suprema
Questo capitolo è molto simile al cap. 79, Hotsu-Bodaishin. I due capitoli, inoltre, pur essendo espressi con parole diverse, riportano la stessa data di proclamazione. È possibile che Hotsu-Mujōshin fosse l’insegnamento rivolto ai laici intenti alla costruzione del Daibutsuji, e che Hotsu-Bodaishin fosse invece l’insegnamento rivolto ai monaci. Ponendo particolare enfasi sull’iniziale risveglio della mente che cerca il Buddha e sulla determinazione allo studio, l’insegnamento del Maestro Dōgen si sviluppa attraverso il commento ad alcune parole del Buddha e ad una citazione dall’Avantamsaka Sūtra.
L’Alto Patriarca indiano[1] un giorno, affermò: “Il grande Nirvāna è come l’Himālaya.” Certo questo è un paragone molto appropriato che il Buddha Śākyamuni poteva fare avendo familiarità con quelle montagne, conoscendole bene. Egli scelse i monti dell’Himālaya sia per la loro imponenza e severità, sia per la loro somiglianza al grande Nirvāna.
Il primo Patriarca cinese[2] disse: “Ogni mente è come un albero pietrificato.” Ogni mente, è la mente: la mente che copre la grande terra. Dunque, c’è la propria mente e quella degli altri. Le menti di tutta le gente sulla grande terra, di tutti i Buddha e di tutti i Patriarchi dell’intero Universo, di tutti i Draghi celestiali e così via, sono questo albero pietrificato. Non vi è altra mente che questa. Questo albero pietrificato non è esistente né non-esistente, né vuoto né forma, ecc.; è mediante la mente di un albero pietrificato che sviluppiamo la mente determinata a realizzare prassi e risveglio. Dal momento che la mente è in origine un albero pietrificato, possiamo realizzare l’eterna condizione del pensare attraverso il non-pensare. Se studiamo la voce del vento dell’albero pietrificato possiamo, per la prima volta, trascendere le opinioni dei profani. Non esiste alcuna Via al di fuori di questo.
L’Insegnante Nazionale Daishō[3] disse: “Muri, tegole e pietre sono la mente del vecchio Buddha.”[4] Dobbiamo indagare con attenzione su dove si trovino questi muri, tegole e pietre; dovete chiedere dove e come queste cose vengono realizzate. “La mente del vecchio Buddha” non è il Kūō Buddha,[5] vissuto nel remoto passato, bensì è proprio l’ordinaria e quotidiana vita degli esseri umani; è in un tal genere di vita che ci sediamo e troviamo il Buddha. Questa è detta: “La mente decisa a conseguire il risveglio.” L’attività della mente che cerca il Buddha[6] si sviluppa generalmente dal risveglio iniziale della mente;[7] oltre a ciò non vi è nulla. Dare vita a un Buddha sollevando un filo d’erba, oppure comporre un sūtra con un pezzo di legno è risvegliare la mente dell’illuminazione. Offrite al Buddha un poco di sabbia e l’acqua della farinata di riso, e anche una manciata di riso per gli esseri senzienti e cinque gambi di fiore per il Tathāgata.[8]
La mente che cerca il Buddha è aiutare gli altri, quando richiesti. Essa, inoltre, può liberarvi dal potere dei dèmoni. Dopo il risveglio iniziale dovete trovare una casa che non è la vostra casa, ovvero addentrarvi nelle montagne e addestrarvi sulla Via con fiducia e fede nel Dharma. Indirizzare lodi al Buddha è scolpirne la forma, recitarne il nome, erigere stūpa, salmodiare sūtra, proclamare il Dharma a tutti gli esseri, trovare il giusto maestro, sedere in zazen e prendere rifugio nei Tre Tesori. Così, l’efficacia degli ottomila tipi di prassi è certamente racchiusa nell’iniziale risveglio all’illuminazione. Attraverso l’iniziale risveglio della mente possiamo conseguire la Via anche da ubriachi, nel bel mezzo di questo mondo di sogno – nei fiori che sbocciano, nelle foglie che cadono, e poi nei fiori di pesco, nel suono di una tegola che colpisce un bambù, nell’oceano e nel cielo. Tutto ciò è la mente che cerca il Buddha, contenuta nella mente che cerca il Buddha. Essa è racchiusa in corpo e mente, nel corpo e mente di tutti i Buddha, e nella pelle, carne, ossa e midollo dei Buddha e dei Patriarchi.
Dunque, scolpire un Buddha, o erigere uno stūpa, è la mente che cerca il Buddha; è la determinazione a conseguire il risveglio che ci conduce direttamente a diventare un Buddha. Non fermatevi a metà strada e non fatevi irretire nelle forme. Questa è la virtù del non-fare[9] e del non-divenire;[10] ciò rappresenta la contemplazione del Tathāgata e la vera natura del Dharma. Tutti i Buddha si concentrano su questo come loro proprio samādhi. È la loro dhāranī[11] ed è la loro suprema e perfetta illuminazione; questo è il frutto degli arhat[12] e la realizzazione del Buddha. Non c’è altro al di fuori dei dharma del non-fare e del non-divenire. Anche se gli sciocchi seguaci dell’Hīnayāna, sostengono che lo scopo di erigere stūpa e scolpire statue è quello di guadagnare merito, voi lasciate da parte quest’idea. Abbandonate il pensiero discriminante e concentrate la vostra mente: questo è non-fare. È innata e incondizionata realtà, ed è la contemplazione della vera forma di tutti i dharma. Questa è la corretta interpretazione del non-fare, sia in oriente che in occidente, sia nel passato che nel presente.
Alcuni cercano di espiare le proprie colpe ed azioni nocive plasmando statue o edificando stūpa, mentre altri pensano di fuggire il mondo contaminato recitando il nome di Buddha, oppure salmodiando i sūtra. Agendo in questo modo però distruggeremo non solo il seme della nostra natura umana ma, anche, la stessa natura-di-Buddha[13] del Tathāgata. È davvero un peccato che, pur vivendo nell’epoca del Buddha, del Dharma e del Samgha, diventiamo i loro peggiori nemici. Pur scalando la montagna o penetrando l’oceano dei Tre Tesori, ne ritorniamo a mani vuote. Anche se vediamo migliaia di Buddha e di Patriarchi, non possiamo conseguire la loro Via e perdiamo quella che è la giusta direzione della mente che ricerca il Buddha. Questo avviene perché trascuriamo i sūtra e non li comprendiamo attraverso un alto livello di conoscenza; seguiamo solo la gente comune e gli insegnanti ingannevoli. Dovremmo, piuttosto, abbandonare al più presto l’idea che erigere uno stūpa e altre simili azioni non siano la mente che cerca il Buddha. Limitatevi a purificare cuore, corpo, orecchie e occhi, e non prestate ascolto né attenzione a simili teorie. Seguite gli insegnamenti contenuti nei sūtra buddhistici e sceglietevi dei maestri di alto conseguimento. Prendete rifugio nella vera Legge e addestratevi nel Dharma del Buddha. Nella grande Via del Dharma si possono scorgere innumerevoli sūtra ed incalcolabili Buddha in un solo granello di polvere. Un filo d’erba o un albero sono, allo stesso tempo, corpo e mente. Se tutti i dharma non fossero manifestati, non potrebbe essere manifestata l’unica Mente. E se tutti i dharma hanno forma reale, allora un singolo granello di polvere ha forma reale; dunque, l’unica Mente è tutti i dharma, e tutti i dharma sono l’unica Mente e il corpo intero.
Se si erige uno stūpa per un qualche scopo, allora devono avere uno scopo anche il frutto dell’illuminazione del Buddha, e la stessa natura-di-Buddha della quiddità. Tuttavia, poiché la natura-di-Buddha della quiddità non si può realizzare intenzionalmente, non si dovrebbe scolpire una statua, o erigere uno stūpa, con qualche scopo o intenzione. La mente che cerca il Buddha deve sorgere senza alcun secondo fine; è il potere della purezza e della mancanza di intenzione. Tuttavia, bisogna essere fermamente convinti del fatto che scolpire una statua, o costruire uno stūpa, sia la mente che cerca il Buddha. Tutte le azioni e i desideri sorti nel corso di innumerevoli epoche partono da questo punto. La mente che cerca il Buddha non può essere annientata, neppure col trascorrere di un’incalcolabile numero di kalpa. Questo è “Vedere il Buddha e udire la Legge.”
Dovremmo sapere che raccogliere legna fossile, ammassare fango e accumulare oro, argento e i sette preziosi gioielli,[14] per creare un’immagine del Buddha o uno stūpa, è operare attraverso la concentrazione dell’unica Mente. Ammassate aria per plasmare un Buddha, mantenete la mente ad un livello elevato per dar forma ad un Buddha; erigete uno stūpa via l’altro, per fare uno stūpa e realizzate un Buddha dopo l’altro, al fine di creare un Buddha. Come si dice nei sūtra: “Pensate in questo modo e tutti i Buddha delle dieci direzioni sorgeranno.” Dobbiamo sapere che, quando concepiamo il pensiero di diventare Buddha, tutti i Buddha delle dieci direzioni condividono questo pensiero. Quando una cosa diventa Buddha, ogni cosa diventa Buddha. Il Buddha Śākyamuni disse: “È sorta la stella del mattino e ho conseguito la Via contemporaneamente a tutti gli esseri viventi.” È perciò che determinazione, prassi, illuminazione e nirvāna sopraggiungono assieme e nel medesimo istante. Erba, alberi, tegole, pietre, vento, pioggia, acqua e fuoco, sono il corpo e mente della Via del Buddha. La determinazione a conseguire il risveglio, attraverso questi elementi presenti in natura, ci conduce alla Via del Buddha. L’atto di riprodurre un’immagine del Buddha, così come il costruire uno stūpa, è sostenuto dalla vacuità universale e consiste nell’attingere acqua da un torrente montano. Questa è la suprema e perfetta illuminazione.
Una sola mente rivolta al risveglio implica milioni di menti rivolte al risveglio; questo vale anche per la prassi e per l’ottenimento del risveglio. Non pensate dunque, che il risveglio si manifesti una volta sola, o che la prassi abbia una conclusione definita, né che i frutti del risveglio maturino in una sola occasione; questo non è udire, conoscere, né incontrare il Dharma del Buddha. Dall’iniziale determinazione di cercare l’illuminazione, sorge un numero innumerevole di risvegli; la determinazione di innumerevoli esseri ha preso le mosse dall’iniziale risveglio di una sola persona. Il risveglio iniziale diventa un numero incalcolabile di risvegli. La prassi, l’illuminazione ed il far girare la ruota della Legge, operano esattamente in questo modo. Se erbe, alberi, e così via non fossero se stessi, come potrebbero possedere corpo e mente, e viceversa? Perciò erbe e alberi sono completi in se stessi. Studiare la Via mediante lo zazen è la mente che cerca il Buddha.
L’iniziale risveglio e lo zazen non sono la stessa cosa né cose diverse, né questo né quello; essi non possono essere separati. Studiate in questo modo. A partire dall’iniziale mettere insieme erbe, legno e gioielli, fino alla realizzazione definitiva di uno stūpa, o di una immagine del Buddha, non deve sussistere alcun secondo fine; agire in un modo diverso impedirebbe il conseguimento della Via. Le trentasette strade al risveglio[15] risulterebbero forzate. Anche l’addestramento del corpo e mente degli uomini e degli dèi, nei tre mondi, risulterebbe forzato. Allora andrebbe perduto il nostro scopo finale.
Le erbe, gli alberi, le tegole, le pietre, i quattro elementi,[16] ed i cinque skandha,[17] non sono altro che l’unica Mente e la vera forma. Da un capo all’altro delle dieci regioni del mondo intero, la natura-di-Buddha della quiddità ha un’assoluta, immutabile esistenza. Come possono tuttavia erbe e alberi esistere entro la natura-di-Buddha della quiddità? Come possono erbe e alberi diventare la natura-di-Buddha della quiddità? Tutte le forme libere dall’intenzionalità e non create, sono vere forme. Vera forma, è la vera forma della quiddità; la quiddità è il corpo e mente dell’eterno presente. Tale corpo e mente sorge con l’iniziale risveglio della mente, con la determinazione; non cessate di azionare la ruota per sollevare l’acqua, o di spingere la macina.
Sollevate un filo d’erba per plasmare una statua d’oro del Buddha, alta sei piedi; sollevate un granello di polvere per erigere uno stūpa a un vecchio Buddha. Questo è “La mente che cerca il Buddha.” É la mente che vede il Buddha, che ode il Buddha, che vede il Dharma, che ode il Dharma, che diventa il Buddha e che agisce il Buddha.
Il Buddha Śākyamuni disse: “Tanto i laici, uomini e donne, che hanno preso rifugio nel Dharma, quanto le buone persone comuni, donano la loro propria carne e quella dei loro coniugi e figli, quale offerta ai Tre Tesori. Come potrebbero i monaci, che hanno ricevuto una simile offerta e che godono della fiducia dei laici, trascurare di studiare diligentemente?” Così, vediamo che donare cibo e bevande, vestiti, giacigli, medicinali, edifici per monasteri, campi e foreste, equivale ad offrire la propria stessa carne e la pelle, carne, ossa e midollo di mogli e figli. Coloro che agiscono così sono in condizione di ricevere un grande oceano di merito dai Tre Tesori, e diventano una cosa sola con essi. Divenire una cosa sola con i Tre Tesori significa offrire loro qualcosa. La virtù dei Tre Tesori è così realizzata nella propria carne e nella pelle, carne, ossa e midollo di moglie e figli. Questo è addestrarsi sulla Via con impegno costante. In tal modo la forma e la natura del Buddha Śākyamuni diventano la nostra forma e natura e troviamo la pelle, carne, ossa e midollo della Via del Buddha. Qui, ‘fiducia’ è la determinazione al conseguimento del risveglio. Come possono dunque i monaci, che hanno ricevuto questa fiducia, essere indolenti? La determinazione di giungere al risveglio e il conseguimento della Via devono, dall’inizio alla fine, reciprocamente interagire. Per questo motivo, anche un risveglio piccolo come un granello di polvere, alla fine, produrrà una mente retta, con la quale potremo penetrare la vacuità. In generale, coloro che sono determinati a conseguire il risveglio possono ottenere il seme della natura-di-Buddha, indipendentemente dal fatto che abbiano studiato, o meno. Se ci addestriamo con una mente senza macchia e con i quattro elementi e i cinque skandha, cioè con il corpo, possiamo conseguire la Via. Addestrandosi con una mente immacolata anche le erbe e gli alberi, gli steccati e i muri conseguono la Via. I quattro elementi, i cinque skandha, le erbe, gli alberi, gli steccati e i muri, partecipano della medesima natura e realizzano la Via nel medesimo istante. Perciò essi condividono la stessa mente, vita, corpo e funzione.
Molti di coloro che si sono addestrati sotto i Buddha e i Patriarchi, hanno studiato la Via sollevando la mente di erbe e alberi; questa è la forma della mente che cerca il Buddha. Il quinto Patriarca[18] era in precedenza il giardiniere Saishodōsha, Rinzai piantò cedri e pini sul monte Ōbaku, e Tōzan apprese da un vecchio di nome Ryū come prendersi cura dei pini. Ognuno di essi aveva la dignità e la costanza di una conifera, e riuscì ad afferrare dalle radici la visione illuminata dei Buddha e dei Patriarchi. La manifesta forza dei Buddha e dei Patriarchi diventa nostra e ci apre gli occhi.
Costruire uno stūpa o plasmare un’immagine del Buddha, sono aspetti della visione illuminata che risvegliano la nostra mente e che da essa sono risvegliati. Non possiamo ottenere la Via dei Buddha e dei Patriarchi se non conseguiamo la visione illuminata del costruire uno stūpa,. Conseguire una visione illuminata inerente al foggiare un’immagine del Buddha, è la realizzazione di Buddha e Patriarchi. Alcuni ritengono che uno stūpa e altri oggetti, poiché prima o dopo diventeranno polvere, non posseggano una reale virtù, e ritengono che la prassi, essendo al di là di vita e morte, sia l’unico elemento stabile ed incontaminato. L’Insegnamento del Buddha non è questo. Se lo stūpa diventa polvere, anche la prassi diventa polvere; ma se viceversa la prassi non diventa polvere, allora questo non accade neppure allo stūpa. “Che cos’è dopo tutto questo mondo in cui viviamo? Parlare del sorgere di vita e morte, o spiegare il nirvāna.”
È scritto nell’Avatamsaka Sūtra: “Quando un Bodhisattva che dimora nel mondo del samsāra, per la prima volta risveglia la sua mente, egli cerca direttamente l’illumi-nazione; la sua mente è stabile e inamovibile. La virtù di un solo pensiero è vasta, profonda e illimitata. Similmente inesauribile è l’analisi del mondo condotta dal Tathāgata.”
Dovremmo saper vedere chiaramente come, risveglio e determinazione a realizzare l’illuminazione, siano inestricabilmente legati alla questione di vita e morte. È questo il significato del cercare direttamente l’illuminazione. Uno dei Suoi pensieri non è diverso da un filo d’erba o da una pianta, perché vi è una sola vita e una sola morte. Tuttavia, la Sua virtù è illimitatamente vasta e profonda e quand’anche il Tathāgata illustrasse la propria analisi del mondo per interi eoni,[19] non potrebbe esaurirla. L’oceano potrebbe prosciugarsi ma, ancora, resterebbe il suo fondo. Quand’anche un uomo muore, ancora permane la mente; non raggiungeremo mai qualche stadio finale. Illimitatamente vasto e profondo è un singolo pensiero del Bodhisattva, e così pure lo sono un filo d’erba, un albero, una pietra, o una tegola. Se un filo d’erba, o una pietra, misurano venti o trenta centimetri, di venti o trenta centimetri è un singolo pensiero del Bodhisattva; così è anche la determinazione a conseguire il risveglio. Per questo è facile ritirarsi nella solitudine delle montagne per meditare sulla Via del Buddha, mentre è più difficile costruire uno stūpa o scolpire un’immagine del Buddha. Entrambe le cose possono essere realizzate mediante un impegno assiduo, ma c’è differenza tra il proprio risveglio e quello degli altri. Maturare questo tipo di mente che cerca il Buddha, è realizzare Buddha e Patriarchi.
Questo fu trasmesso ai monaci del Kippōji, Yoshida-gun, nell’Echizen, il 14 febbraio 1244.
Ricopiato da Ejō, il 10 marzo 1279, nell’Eiheiji.
[1] Il Buddha Śākyamuni.
[2] Il Maestro Bodhidharma (?-528), ventottesimo Patriarca in India e primo Patriarca in Cina. Visse nel tempio di Shaolin, uno dei vari monasteri buddhistici che già esistevano tra i monti Sung-shan, nel nord-ovest della Cina, introducendo la prassi dello zazen.
[3] Il Maestro Nan’yō Echū (?-775), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. Daishō Kokushi è il suo titolo postumo. [Nan-yang Hui-chung]
[4] Si veda il cap. 9, Kobusshin.
[5] Buddha Re dalla Voce Maestosa. È il primo Buddha ad apparire nel kalpa della vacuità. Il kalpa della vacuità è l’ultimo dei quattro kalpa che intercorrono tra il fondamento di un mondo e il fondamento del mondo successivo. Essi sono: kalpa della creazione, kalpa dell’esistenza, kalpa della distruzione, kalpa della vacuità.
[6] Hotsu-bodaishin. Si veda il cap. 4, Shinjigakudō.
[7] Hosshin. Ibidem.
[8] Lett. “Così arrivato”.
[9] Cioè dell’essere privi di intenzionalità, senza scopo.
[10] Cioè, del non essere prodotto da condizioni.
[11] Una formula la cui recitazione ha un potere mistico.
[12] Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) passi attraverso quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'entrata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed ultimo è arhat.
[13] La natura-di-Buddha è la ‘Natura propria’, o ‘Vera natura’, o ‘Volto originario’ (comunque si voglia chiamare) di ogni essere, anche se questi lo ignora.
[14] I sette preziosi gioielli, o sette tesori sono: oro, argento, smeraldi, perle, corallo, ambra, e agata.
[15] Si veda il cap. 60, Sanjushichihon-Bodai-Bumpō.
[16] I quattro elementi, dal sanscrito catvā mahābhūtāni, sono: terra (peso e leggerezza), acqua (coesione e fluidità), fuoco (caldo e freddo), vento (impulso e movimento).
[17] I cinque skanda o aggregati sono: rūpa (il corpo-forma), vedanā (la sensazione), samjñā (la percezione, la nozione), samskarā (le impressioni risultanti, gli elementi della coscienza, lett. “I formati e i formanti”), e vijñāna (la coscienza individuale, la conoscenza discriminante).
[18] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin e quinto Patriarca in Cina. Noto anche come Ōbai. [Ta-man Hung-jen]
[19] Un eone rappresenta un lunghissimo periodo di tempo; per esempio, il trascorrere di diverse ere geologiche.