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DHĀRANĪ
Formula Mistica
Il Maestro Dōgen definisce la grande Dhāranī come il corretto modo di venerare. A partire da tale interpretazione, tutto il capitolo è dedicato all’importanza del tradizionale rapporto di rispetto e gratitudine nei confronti di un Maestro, espresso ritualmente dalle prostrazioni a lui indirizzate.
Quando l’occhio dell’investigazione è chiaro, è chiaro anche l’occhio della vera Legge. Poiché l’occhio della vera Legge è chiaro, ecco che si ha il chiaro occhio dell’investigazione. L’aspetto più importante della corretta trasmissione si realizza attraverso la capacità di rispettare i grandi ed eccellenti insegnanti.
Questo è il grande karma e la grande dhāranī.[1] “Grandi ed eccellenti insegnanti” sono i Buddha e i Patriarchi. Dobbiamo servirli sempre. Ecco perché, quindi, fare e servire del tè è la realizzazione dell’essenza della mente e del potere spirituale. Lo stesso vale anche per il portare una brocca d’acqua, per versarla, o per portare l’acqua senza muovere la brocca, come pure per lo studiare col proprio insegnante.
Non è soltanto lo studio dell’essenza della mente dei Buddha e dei Patriarchi; è anche vedere Buddha e Patriarchi incontrando Buddha e Patriarchi. Dobbiamo non solo ricevere il potere spirituale dei Buddha e dei Patriarchi ma, anche, penetrare il potere spirituale di sette o otto specifici Buddha e Patriarchi. Perciò si dice che in una dhāranī sono condensati il potere spirituale e l’essenza della mente di tutti i Buddha e i Patriarchi. Nel rispettare e venerare i Buddha e i Patriarchi, offriamo fiori celestiali e incenso; questo non è male, ma è meglio offrire la dhāranī del samādhi. Questo è il vero essere discendenti dei Buddha e dei Patriarchi.
Grande dhāranī significa il corretto modo di venerare. Esso può essere realizzato e visto perché è la grande dhāranī. “Corretto modo di venerare” è un’espressione cinese, ed è stata usata in società per qualche tempo. Non è stata tramandata da Brahmā o Indra; essa è trasmessa soltanto dai Buddha e dai Patriarchi. Non è il mondo cosciente di voce e forma né qualcosa che si possa valutare come esistente prima o dopo il Kūō Buddha,[2] che è presente all’inizio del mondo. Il corretto modo di venerare è offrire incenso e prostrarsi. Vi è un vero insegnante di rinuncia ed un vero insegnante della trasmissione della Legge. L’insegnante di rinuncia è un insegnante della corretta trasmissione, e viceversa. La venerazione per tali maestri non è altro che la corretta dhāranī dell’investigazione. Non sprecate tempo: venerateli immediatamente.
All’inizio e alla fine dei periodi d’addestramento, al solstizio d’inverno, all’inizio e alla fine di ogni mese, offrite incenso e prostratevi a questi veri maestri. Possiamo farlo sia prima, sia dopo il pasto mattutino. Preparatevi e presentatevi davanti alla stanza del maestro. Prepararsi vuol dire indossare il kesa,[3] prendere lo zagu,[4] riordinare le calzature e preparare l’incenso. Rimanendo in piedi di fronte al maestro, salutatelo con un inchino. Il monaco assistente dovrebbe avere già riassettato l’incensiere e provveduto alle candele. Indipendentemente dal fatto che il maestro sia seduto sul suo scranno, o sia dietro la tenda, coricato o intento a mangiare, offrite dell’incenso, prontamente. Se il maestro è in piedi pregatelo di sedersi e riposare, dopo che avrete eseguito le vostre prostrazioni. Vi sono diverse possibilità.
Dopo che il maestro si è seduto, inchinatevi nel modo corretto e quindi avvicinatevi all’incensiere per fare la vostra offerta. Potete tenere l’incenso nel bavero, dentro il koromo o nella manica; dipende da voi. Dopo che vi siete inchinati, se l’incenso è avvolto nella carta, scartatelo con entrambe le mani, tenendolo per la parte inferiore, rivolto a sinistra. Collocatelo sull’incensiere, avendo cura che stia ben diritto. Sistemato l’incenso, portate le mani al petto e camminate, verso destra, fino a trovarvi giusto davanti al maestro; vi inchinate come prescritto, sistemate a terra lo zagu ed eseguite nove o dodici prostrazioni, in base alla la situazione. Una volta terminate le prostrazioni, riavvolgete lo zagu e inchinatevi un’altra volta.
In certi casi, il monaco si prostra per tre volte e porge i suoi auguri per la stagione. Tuttavia, nel caso in questione, non si effettuano saluti ma solo prostrazioni, a gruppi di tre. Tale usanza è stata tramandata fin dai sette Buddha; essendo stata trasmessa correttamente, può essere da noi utilizzata. Queste prostrazioni non sono mai state soggette a modifica alcuna, in nessun tempo. Inoltre, ogni qualvolta riceviamo un insegnamento o un’istruzione particolare, dovremmo seguire questa stessa procedura. Ad esempio, il secondo Patriarca Taiso Eka[5] utilizzò tre prostrazioni per comunicare con Bodhidharma. Dobbiamo eseguire tre prostrazioni ogni volta che discutiamo della profondità dell’Occhio e del Tesoro della Vera Legge. Dobbiamo sapere che le prostrazioni sono l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, e che l’Occhio e il Tesoro della Vera Legge è la grande dhāranī.
Recentemente è invalsa l’usanza di eseguire una sola prostrazione nel chiedere istruzione ad un maestro, ma questo non è il costume tradizionale. Non è assolutamente necessario eseguire nove, o dodici, prostrazioni per manifestare la nostra gratitudine. Alle volte se ne eseguono tre, alle volte una sola, toccando terra con la testa; e in certe occasioni, se ne eseguono sei. In effetti, tutte queste prostrazioni si dovrebbero eseguire in modo da toccare terra con la fronte. In India esse sono considerate come la forma più alta. Quando ne effettuate sei dovreste battere la testa a terra fin quasi a farla sanguinare; dovreste usare il vostro zagu. Le prostrazioni si effettuano anche nella società mondana, dove se ne usano fondamentalmente nove tipi.
Nel ricevere gli insegnamenti di un maestro, dovremmo eseguire innumerevoli prostrazioni; queste dovrebbero essere ininterrotte, ripetute, per centinaia di migliaia di volte. Esse sono costantemente usate nelle comunità dei Buddha e dei Patriarchi. In generale, simili prostrazioni dovrebbero essere eseguite sotto la supervisione di un maestro, seguendone strettamente le istruzioni. Generalmente parlando, se in una società si eseguono prostrazioni, lì esiste l’Insegnamento del Buddha; se esse sono trascurate, la Legge scomparirà.
Le prostrazioni ad un vero insegnante che trasmette il Dharma, si dovrebbero eseguire indipendentemente dalla stagione o dal luogo. Ad esempio, dovremmo effettuarle anche se egli è coricato, se sta mangiando o se sta andando al gabinetto. Dovremmo eseguire le nostre prostrazioni da lontano, anche se fossimo separati da muri o da steccati, da montagne o da fiumi. Anche se innumerevoli kalpa[6] ci separassero dal venire e andare di vita e morte, dal risveglio o dal nirvāna, anche allora dovremmo eseguire le nostre prostrazioni. Novizi e discepoli dovrebbero conoscere diversi generi di prostrazioni ma, per un vero maestro, non è necessario prostrarsi di rimando; generalmente egli si limita ad un gasshō[7] e restituisce la terza prostrazione del discepolo. Quando ci prostriamo dobbiamo rivolgerci a nord, direttamente di fronte al maestro che è rivolto a sud; questo è il modo adeguato e corretto. La vera trasmissione vuole che, avendo una corretta fede, ogni nostra prostrazione venga eseguita rivolti a nord, fin dall’inizio. Dunque, quando Śākyamuni, il Buddha, era ancora presente in questo mondo, tutti coloro che avevano preso rifugio nel Buddha, uomini, dèi e draghi, si rivolgevano a nord per esprimere la propria venerazione prostrandosi.
Dopo che ebbe conseguito la Via, gli stessi Suoi compagni, Ājñāta Kaundinya, Aśvajit, Mahānāman, Bhadrika e Vāspa,[8] si posero in piedi di fronte al Tathāgata,[9] si volsero a nord ed eseguirono le prostrazioni. Anche i profani e i dèmoni, che avevano abbandonato le loro menti malvagie e avevano preso rifugio nel Buddha, si volsero a nord e si prostrarono senza bisogno di essere incitati.
In tutte le comunità dei ventotto Patriarchi indiani successivi a Śākyamuni, e in quelle dei Patriarchi cinesi, tutti i credenti nella vera Legge si volgevano naturalmente verso il nord e si prostravano. Questa è la forma naturale del vero Dharma e non c’è nulla di forzato né di innaturale, tra maestro e allievo. Questo rapporto è la grande dhāranī. C’è una grande dhāranī chiamata Perfetta Illuminazione, ce n’è un’altra chiamata Corretto Modo di Venerare, un’altra chiamata Realizzazione della Prostrazione, una chiamata Kesa, ed una chiamata Occhio e Tesoro della Vera Legge. Salmodiando questa dhāranī è possibile proteggere tutta la terra, il tempo intero, ogni terra-di-Buddha, nonché l’interno e l’esterno del nostro eremo. Dobbiamo investigare e chiarire questa grande dhāranī. Tutte le dhāranī si basano su questa ultima, e si manifestano come sue parenti. Da questa dhāranī, tutti i Buddha e i Patriarchi traggono la loro determinazione, prassi, risveglio, ed il girare stesso della ruota della Legge. Perciò, dal momento che siamo discendenti dei Buddha e dei Patriarchi, dobbiamo investigare e chiarire nel dettaglio questa dhāranī. “Vestendo l’abito di Śākyamuni, vestiamo l’abito di tutti i Buddha e Patriarchi del mondo intero.”
Vestire l’abito sta per indossare il kesa. Il kesa è un particolare simbolo dei seguaci del Buddha. L’opportunità di indossarlo non è facile da avere. Anche chi sia nato in un paese remoto e per di più fosse anche stupido, può infine trovare il Dharma di Śākyamuni mediante la realizzazione di una dhāranī recitata il prima possibile, e mediante il potere del merito. Tra le diverse forme dei fenomeni, il prostrarsi ai Buddha e ai Patriarchi, indipendentemente che sia di propria iniziativa o no, equivale al conseguimento e alla prassi della Via del Buddha. È questo lo straordinario potere della dhāranī.
Prostrarsi a tutti i Buddha degli innumerevoli kalpa passati e presenti rappresenta l’opportunità di vestire l’abito del Buddha. Coprire il nostro corpo con un kesa è il conseguimento di corpo, carne, mani, piedi, testa, occhio, midollo e cervello del Buddha Śākyamuni. È la luce infinita[10] del far girare la ruota della Legge. È con questo spirito che dovremmo indossare il kesa; questa è la realizzazione del merito del kesa. Dobbiamo custodirlo e venerarlo, proteggerlo sempre e indossarlo, nel rendere omaggio al Buddha Śākyamuni. Così possiamo completare l’addestramento di innumerevoli kalpa.
Prostrarsi al Buddha Śākyamuni e rendergli omaggio, significa prostrarsi e rendere omaggio ad un vero insegnante che ha trasmesso il Dharma, che vi ha impartito i precetti, e che vi ha rasato la testa. Questo è vedere e venerare Śākyamuni, attraverso il potere del Dharma e delle dhāranī. Il mio defunto Maestro disse: “C’è una prostrazione come quella di Eka nella neve,[11] e una nella baracca del riso, come quella di Enō.[12] Questo è un eccellente precedente, ed è un esempio di grande dhāranī.”
Questo fu trasmesso ai monaci del Kippōji, nel 1242.
Trascritto il 13 gennaio 1244, da Ejō nell’alloggio del discepolo principale.
[1] Le dhāranī sono invocazioni alla cui recitazione è attribuito un potere mistico.
[2] Buddha Re dalla Voce Maestosa. È il primo Buddha ad apparire nel kalpa della vacuità, ed è quindi il Buddha preesistente alla formazione di tutti i mondi. Il kalpa della vacuità è l’ultimo dei quattro kalpa che intercorrono tra il fondamento di un mondo e il fondamento del mondo successivo. Essi sono: kalpa della creazione, kalpa dell’esistenza, kalpa della distruzione, kalpa della vacuità.
[3] Dal sanscrito kāsāya, tradizionalmente indica l’abito del Buddha. È indossato sopra l’abito (koromo), lasciando scoperta la spalla destra.
[4] Un tappeto per sedersi in zazen, o per effettuare prostrazioni.
[5] Il Maestro Taiso Eka (487-593), il successore del Maestro Bodhidharma. Noto anche come Jinkō Eka. [Shen-kuang Hui-k’o]
[6] Un kalpa indica un tempo infinitamente lungo; rappresenta infatti un ciclo cosmico pari a circa trecentoventi milioni di anni. Si veda il Sūtra del Loto, pag. 60.
[7] Lett. “Con il palmo delle mani unito”. Si tratta di un saluto tradizionale, nei monasteri. Le mani giunte sono tenute all'altezza del petto, con la punta delle dita grossomodo allineata con le narici.
[8] Cinque asceti che Śākyamuni frequentò durante il suo addestramento. Si dice che quando li lasciò per perseguire la verità da solo, essi ritennero che egli avesse rinunciato. Ma quando il Buddha tornò, dopo aver realizzato la verità, essi furono così colpiti dal suo contegno dignitoso che tutti si prostrarono a lui, rivolgendosi a nord. Allora egli proclamò le quattro Nobili Verità ed essi divennero i primi membri del Samgha. Essi sono: Ājñāta Kaundinya, Aśvajit, Mahānāman, Bhadrika e Vāspa.
[9] Lett. “Così arrivato”.
[10] Si veda il cap. 15, Kōmyō.
[11] Si riferisce al primo incontro del Maestro Taiso Eka con il Maestro Bodhidharma, presso il tempio di Shorinji, immerso nella neve. Si veda il cap. 16, Gyōji.
[12] Si riferisce alla trasmissione del Maestro Daiman Kōnin al Maestro Daikan Enō. Si veda il cap. 17, Immo ed il cap. 16, Gyōji.