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DEN-E
La Trasmissione dell’Abito
Questo capitolo ed il capitolo 78, Kesa-kudoku, sono molto simili nel contenuto. Ponendo l’attenzione sulla data e sulle annotazioni riportate alla fine dei due capitoli, si può tuttavia ragionevolmente ritenere che Den-e sia la bozza originale della lettura che il Maestro Dōgen intendeva dare, e che Kesa-kudoku sia la trascrizione di ciò che egli effettivamente insegnò il 1° ottobre del 1240.
La corretta trasmissione del kesa, da Buddha a Buddha, è giunta in Cina solo attraverso l’Alto Patriarca di Shōrinji,[1] il ventottesimo Patriarca dopo il Buddha Śākyamuni. Nell’autentica discendenza ci sono stati ventotto Patriarchi indiani e sei cinesi; in tutto, tra India e Cina, trentatré Patriarchi.[2] A mezzanotte, il trentatreesimo Patriarca Maestro Zen Daikan,[3] ricevette segretamente dal quinto Patriarca cinese, Maestro Zen Daiman[4] del monte Ōbai, il kesa e il Dharma e li custodì per tutta la vita. Questo kesa è conservato, ancora oggi, nel monastero di Hōrinji sul monte Sōkei.
Da allora, gli imperatori di tutte le generazioni hanno ospitato questo kesa nel loro palazzo ed hanno tenuto una cerimonia in suo onore; considerandolo sacro, essi lo hanno protetto perché potesse essere tramandato. Durante la dinastia Tang gli imperatori Chushu, Shu-kushu e Daishu tennero spesso speciali cerimonie nel loro palazzo. Questi imperatori emanavano un editto ed inviavano appositi messaggeri per onorare il kesa sia al suo arrivo sia al momento della restituzione, dando così dimostrazione di grande rispetto. Una volta, rinviando il kesa al monastero sul monte Sōkei, l’Imperatore Daishu emanò un editto che diceva: “Oggi ho inviato il generale Ryū a Sōkei per restituire il kesa con il dovuto rispetto. Dichiaro questo kesa tesoro nazionale. Il generale lo restituirà e lo collocherà nel tempio in un luogo sicuro; sceglierà poi tra i monaci un sacerdote addetto alla sua custodia, incaricandolo di averne cura e proteggerlo da ogni danno.”
Allo stesso modo i successivi imperatori lo considerarono un tesoro inestimabile, più prezioso di qualsiasi altra cosa al mondo, di gran lunga superiore alla famosa giada di Benka[5] che era stata donata al sovrano. Neppure quella pietra poteva essere paragonata ad un simile tesoro. Nemmeno il sigillo nazionale dell’imperatore, che protegge il paese, possiede un valore paragonabile a quello del kesa.
Fin dall’epoca della grande dinastia Tang, tutti coloro che si sono prostrati davanti a questo kesa di certo avevano fede nel Dharma del Buddha. Chi non avesse accumulato un buon karma durante le esistenze passate non potrebbe ora prostrarsi davanti a questo kesa, correttamente trasmesso da Buddha a Buddha.
Dovremmo essere felici di possedere pelle, carne, ossa e midollo del credere nel kesa e del riceverlo. Se, a causa del cattivo karma passato, non possiamo avere fiducia nel kesa né riceverlo, allora manca il seme della Buddhità, e questo è veramente triste. La gente comune afferma che vedendo le azioni di una persona se ne comprende la natura. Prostrarsi e onorare il kesa è vedere il Buddha. Perciò sono costruiti centinaia di migliaia di stūpa e la gente venera il kesa del Buddha, ed anche gli abitanti dei cieli e dell’oceano desiderano rispettarlo. Chiunque faccia girare la ruota della Legge, inclusi i re, comprende la nobiltà del kesa e lo rispetta.
La cosa più spiacevole è che alcuni regnanti delle passate generazioni non si accorsero che nei loro domini esisteva un simile prezioso tesoro. Influenzati da insegnamenti taoistici, molti re abbandonarono il Dharma del Buddha. In quel tempo i sacerdoti imperiali non indossavano il kesa, ma strani sottili cappelli di seta; i loro insegnamenti erano tutti incentrati sull’ottenere prosperità e lunga vita. Questo avvenne durante le dinastie Tang e Sung; i governanti erano chiamati re ma, in realtà, erano peggiori della gente comune. Si può tranquillamente constatare che nel nostro paese il kesa esiste ancora; possiamo considerare la nostra nazione come una terra-di-Buddha del kesa. Il kesa è più importante delle reliquie. Re, leoni ed esseri umani possiedono reliquie, ma non un kesa; solo il Buddha possiede un kesa. Dobbiamo avere profonda fiducia in esso e cercare di riceverlo.
I nostri sciocchi contemporanei conoscono l’importanza delle reliquie ma non sanno come onorare il kesa, e ben pochi di essi sanno come proteggerlo. Questo perché in passato non ne hanno sentito parlare, né hanno avuto la possibilità di vedere la corretta trasmissione della Legge. A ben pensarci, l’epoca in cui visse Śākyamuni dista da noi nel tempo soltanto duemila anni circa. I tesori nazionali, tanto della Cina che del Giappone, sono più antichi; la Legge e il kesa sono più recenti e più vicini alla nostra generazione. Nel Sūtra del Loto si afferma che il merito del kesa si dispiega su tutte le fattorie e su tutti i villaggi; esso si effonde su una persona, così come su cinquanta e il suo merito è illimitato. Anche altri tesori nazionali possiedono merito, ma quello del kesa è diverso da tutti; gli altri tesori, a differenza del kesa, non tramandano la corretta trasmissione. Preservate la corretta trasmissione da maestro ad allievo.
Dovremmo sapere che si può conseguire la Via udendo i quattro versi,[6] o perfino una sola parola di essi. Perché questi versi e queste parole possiedono un simile potere prodigioso? Perché sono l’insegnamento del Dharma del Buddha. Il kesa e i nove tipi di abito[7] sono stati correttamente trasmessi dalla Legge; il loro merito non è inferiore a quello delle quattro proposizioni, o di una delle loro parole.
Dunque, per duemila anni tutti gli studenti del Dharma che con determinazione hanno seguito il vero addestramento, hanno indossato il kesa e, considerandolo come il corpo e mente del Buddha, lo hanno protetto. Altri invece, non altrettanto consapevoli della corretta trasmissione di tutti i Buddha, non hanno onorato il kesa.
Indra e il re dei Draghi erano soltanto laici, eppure protessero il kesa. Al contrario, ci sono state persone che, pur avendo la testa rasata e pur considerandosi discepoli del Buddha, non sapevano che si dovrebbe sempre indossare il kesa; per di più non ne conoscevano la forma, il colore, il genere di tessuto e le dimensioni, né sapevano come indossarlo o maneggiarlo. Non potevano neppure immaginare il merito del kesa. Il kesa è l’abito che può estirpare la malattia dalla nostra mente; è l’abito della liberazione. Il merito del kesa è senza limiti. Si narra di un drago che, assalito da tre generi diversi di forti febbri, fu curato grazie al merito del kesa. Nel momento in cui conseguirono la Via, tutti i Buddha stavano indossando il kesa. Viviamo in un paese dove la Legge è giunta al momento del degrado finale; non dovremmo farci ingannare da false tradizioni, ma stabilire con cura quale sia la corretta trasmissione.
Quale altra scuola conosce il giusto modo di indossare un kesa, modo attuato a partire da Śākyamuni? Soltanto la Via trasmessa da Bodhidharma lo conosce. Nell’incontrare questo kesa possiamo forse fare a meno di rendergli onore? Anche se ci costasse un giorno della nostra preziosa vita dovremmo onorare il kesa e pregare di avere l’occasione per farlo. Siamo nati in un Paese pieno di sciocchi, lontano dalla terra in cui visse Śākyamuni, e dunque poter udire la vera Legge, indossare un kesa anche solo per un giorno o una notte, e imparare anche una sola riga di un insegnamento buddhistico, non è soltanto frutto della venerazione tributata a uno o due Buddha; è grazie alla venerazione tributata a milioni di Buddha che possiamo fruire di questa felice e salutare occasione. Anche se è conseguenza delle nostre azioni meritorie, questa opportunità dovrebbe essere onorata, amata e rispettata. Dovremmo esprimere ringraziamento e gratitudine ai Patriarchi che hanno trasmesso la Legge. Gli animali non dimenticano di ringraziare, perché mai gli esseri umani non conoscono i benefici che derivano dal ringraziare? Essi sono peggiori e più stupidi degli animali.
Il merito del kesa può essere conosciuto solo grazie ai Patriarchi che possiedono la corretta trasmissione da Buddha a Buddha. Gli altri non possono neppure sognarselo, o ancor meno conoscerne la forma, il colore o il tessuto di cui è costituito. Se vogliamo trovare i Buddha, dobbiamo cercare il kesa. Finché questo kesa potrà essere correttamente trasmesso, il Dharma del Buddha sopravviverà anche per miliardi di generazioni, tanto grande è il suo potere. I laici dicono: “Se gli antichi regnanti non lo hanno indossato non lo faremo neppure noi; se non lo hanno fatto loro neppure noi lo facciamo.” Lo stesso vale per la Via del Buddha. Se non è il kesa dei Buddha non lo indossiamo. Vestendoci con qualcos’altro, cosa indosseremo per studiare la Via ed onorare tutti i Buddha? Se non indossiamo, l’abito non possiamo entrare nella comunità del Buddha.
Fin dai tempi dell’Imperatore Komei, durante il periodo Eihei della tarda dinastia Han,[8] molti monaci sono giunti dall’India in Cina; altri invece hanno fatto il percorso inverso. Nessuno conosce i nomi dei loro maestri; essi avevano studiato soltanto sotto esperti dei sūtra e dell’abhidharma.[9] Costoro non avevano mai sentito parlare della corretta trasmissione del Dharma, dunque non sapevano nulla sulla retta trasmissione del kesa e non avevano mai incontrato né udito di coloro che possiedono la corretta trasmissione. Nessuno di essi aveva afferrato il punto essenziale del Dharma. Pensavano che un kesa fosse soltanto un abito; non potevano neppure immaginare che un kesa fosse un oggetto importante e degno di venerazione. Che peccato.
Chi trasmette correttamente la Via, sempre trasmette il Dharma e il kesa del Buddha. Non si è mai sentito parlare, né in cielo né in terra, di un Patriarca senza Dharma e senza kesa. Perciò la corretta trasmissione tramanda forma, colore, tessuto, grandi meriti, corpo, mente, ossa e midollo del kesa. I seguaci delle diverse scuole Hīnayāna nemmeno possono sognarsi di conoscere il significato del kesa. Se cuciamo il kesa senza conoscere il giusto modo, non sarà una corretta trasmissione.
Il nostro grande insegnante, il Buddha Śākyamuni, trasmise a Mahākāśyapa la suprema illuminazione dell’Occhio e Tesoro della Vera Legge, assieme al suo kesa; da allora si sono susseguiti trentatré Patriarchi, fino al Maestro Zen Daikan Enō, del monte Sōkei. Forma, colore e tessuto sono stati direttamente trasmessi fino ai giorni nostri. Tutti i Patriarchi delle cinque scuole Zen,[10] alcuni dei quali avevano allora dai quaranta ai sessant’anni, ricevettero e trasmisero le regole per fabbricare ed indossare il kesa, unitamente al modo di seguire le istruzioni dei loro maestri, ora defunti. Tale corretta trasmissione da Buddha a Buddha è fondata sulla tradizione del Buddha ed è stata tramandata, inalterata, attraverso le generazioni.
La corretta trasmissione del kesa secondo il principio buddhistico è la seguente:
Kujō-e: nove pezzi separati di stoffa, ognuno composto da tre strisce lunghe e una corta, o da quattro strisce lunghe e una corta.
Jūichijō-e: undici pezzi, in tre strisce lunghe e una corta, o quattro lunghe e una corta.
Jūsanjō-e: tredici pezzi, in tre strisce lunghe e una corta, o quattro lunghe e una corta.
Jūgojō-e: quindici pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Jushi-chijo-e: diciassette pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Jukujo-e: diciannove pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Nijūichijō-e: ventuno pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Nijūsanjō-e: ventitré pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Nijūgojō-e: venticinque pezzi, in quattro strisce lunghe e una corta.
Nihyakugojūjō-e: duecentocinquanta pezzi, composti in quattro strisce lunghe e una corta.
Hachimanshisenjō-e: ottantaquattromila pezzi, composti in otto strisce lunghe e una corta.
Questi sono i modelli generali di kesa, ma ne esistono molti altri; tutti sono abiti da monaco. In certe circostanze, anche i laici li indossano. Non è sufficiente portare con sé il kesa, occorre indossarlo. Chiunque si rade i capelli e la barba ma non accetta il kesa, o lo detesta e non lo indossa, non è discepolo del Buddha.
Il Maestro Zen Hyakujō Daichi[11] disse: “Coloro che, nelle loro esistenze precedenti non hanno agito il bene, sono riluttanti ad indossare un kesa e detestano la corretta trasmissione della Legge.”
Una volta il Buddha disse: “Anche a quei laici che pur avendo preso i precetti[12] commettono crimini gravi e nutrono pensieri malevoli, se rispettano il kesa dei monaci, tutti i Buddha e io stesso possiamo predire la certa, futura liberazione nei tre veicoli. Anche gli esseri celestiali e umani, i draghi e i dèmoni, venerando il kesa possono ottenere la liberazione attraverso uno dei tre veicoli.[13] Dèmoni, dèi o esseri senzienti, ogni qual volta possiedono un kesa o anche un soltanto pezzo di esso, sono in grado di ottenere nutrimento. Anche gli esseri senzienti dotati di una mente aggressiva e malevola possono sviluppare un atteggiamento di compassione e purezza, grazie al potere insito nella virtù del kesa. Colui che venera il kesa, pur trovandosi preso nel mezzo di una battaglia, ne sfuggirà illeso.”
Dovremmo dunque sapere che il merito del kesa è eccelso. Ricevere e accettare questo kesa è sicuramente una predizione di Buddhità e di non regressione.[14] Tutti i Buddha e non solo Śākyamuni, hanno detto la stessa cosa. Dovremmo perciò sapere che la forma di tutti i Buddha è modellata dal kesa.
Perciò il Buddha disse: “Coloro che sono caduti in un sentiero sbagliato detestano il kesa dei monaci.” Perciò, chiunque provi avversione vedendo un kesa è caduto in un sentiero sbagliato e dovrebbe rammaricarsene e pentirsi. Negli Āgama Sūtra[15] è scritto che, quando il Buddha Śākyamuni lasciò il suo palazzo per ritirarsi sulle montagne, il dio della foresta gli apparve recando un kesa e gli disse che se l’avesse accettato, rispettato e indossato, sarebbe stato protetto da qualsiasi avversità e tentazione. Śākyamuni accettò il kesa e lo indossò per dodici anni.
Il kesa è anche chiamato l’abito di felicità; indossandolo raggiungeremo certamente la condizione suprema. Un kesa fabbricato in questo mondo è fabbricato per sempre. La realtà di un solo istante è la realtà dell’eternità. Il valore del kesa trascende tempo e spazio. Accettare il kesa significa accettare il simbolo del Buddha. Sulla base di questo principio, ogni Buddha ha ricevuto un kesa e, come risultato, è immancabilmente diventato un Buddha.
Come si indossa il kesa.
Di solito si lascia scoperta la spalla destra anche se, talvolta, il kesa può coprire entrambe le spalle. Il primo modo manifesta rispetto e si usa quando si ha a che fare con una persona di posizione superiore; il secondo modo è utilizzato dalle persone di condizione elevata.
Per indossare il kesa in modo corretto piegatelo e appoggiatelo sulla spalla sinistra in modo che i bordi siano ripiegati avanti e indietro, e ancora una volta avanti e indietro, uno sull’altro. I seguaci dell’Hīnayāna non hanno mai visto e nemmeno udito parlare di questo, né se ne trova traccia nei loro sūtra. I Patriarchi che hanno trasmesso la vera Legge, sicuramente ricevettero l’insegnamento sul modo corretto di indossare il kesa. Ricevere tale insegnamento è ottenere in dono l’azione di un Patriarca. Il kesa che testimonia la corretta trasmissione dei Buddha e dei Patriarchi è, esso stesso, una vera trasmissione. Il kesa è stato trasmesso dai Buddha più antichi ai Buddha più recenti, dai Buddha passati ai Buddha presenti. La Via e il Buddha ne furono trasformati; è stata la corretta trasmissione da passato a presente, da presente a futuro, da presente a passato, da passato a passato, da presente a presente, da futuro a futuro, da futuro a presente e da futuro a passato. È stata la corretta trasmissione da Buddha a Buddha.
Dall’epoca in cui Bodhidharma giunse in Cina, per centinaia d’anni durante le dinastie Tang e Sung, molte persone colte erano riuscite a vedere il proprio karma ed avevano studiato le regole e i sūtra, e molti laici avevano aderito ai precetti buddhistici. Quando in seguito scoprirono il vero Dharma, essi abbandonarono i vecchi modelli di kesa ed accettarono il kesa correttamente trasmesso nella Via del Buddha. Numerosi esempi di ciò, si possono trovare in libri quali il Keitoku-dentō-roku, il Tensho-koto-roku, lo Zenmen-zokutō-roku, il Katai-futo-roku ed altri.[16]
Gli studiosi dei precetti e dei sūtra che riuscirono a trascendere le loro opinioni limitate, compresero l’importanza della grande Via e della corretta trasmissione dei Buddha e dei Patriarchi; anch’essi divennero Buddha e Patriarchi. La gente d’oggi dovrebbe studiare i Patriarchi del passato. Quando accettiamo un kesa, questo dovrebbe essere il kesa della corretta trasmissione; non dovremmo accettare un kesa di genere diverso.
Quella che chiamiamo corretta trasmissione del kesa è la trasmissione che ha avuto origine da Shōrinji e Sōkei;[17] essa è stata ricevuta direttamente dal Tathāgata[18] ed è stata tramandata attraverso una catena ininterrotta. Dunque, la Via del Buddha è stata direttamente trasmessa, e kesa ed abito sono passati di mano in mano. La Via deve essere rettamente trasmessa attraverso la Via; chi cerca l’agio non la coglierà mai, essa deve essere ricercata attivamente. Il conseguimento è meglio di mille opinioni. Da queste massime possiamo vedere che avere mille opinioni o diecimila descrizioni della Via non è la stessa cosa che ricevere correttamente il kesa. Chi dubita di questo non può neppure sognarsi la corretta trasmissione del kesa e diverrà man mano più incerto sulla Via. La corretta trasmissione del kesa è ben più importante della spiegazione dei sūtra e rivela di più sulla Via del Buddha. Non dovremmo mai dimenticarci di questo. Leggere i mille volumi dei sūtra per un milione di volte, non vale un solo risveglio. Il Buddha ha conseguito la condizione di risvegliato grazie ad un kesa e non può certo essere accostato a coloro che ritengono che l’unico modo di studiare la Via sia costituito dalla dottrina o dai precetti.
Il merito connesso al kesa dei Patriarchi è stato correttamente trasmesso per generazioni e dalla sua essenza si trae beneficio anche oggi. Coloro che hanno trasmesso questo kesa sono Patriarchi che hanno sperimentato il risveglio e che custodiscono la Legge. Essi sono superiori a coloro che hanno acquisito le dieci sacre condizioni ed i tre stadi abili.[19] Dovremmo perciò servire, onorare, rispettare, ricevere e prostrarci davanti al loro insegnamento. Coloro che ricevono l’essenza della retta trasmissione del kesa possono vedere il Buddha e studiare la Via; chi non ottiene questo Dharma sarà infelice. Il kesa, una volta indossato, diventa un catalizzatore che propizia il risveglio, e noi dovremmo sinceramente riceverlo come tale. È stato detto che se si crede anche in una sola delle affermazioni o frasi sul kesa, il merito del kesa stesso si trasformerà nella luce splendente dell’eterna Via del Buddha; lo stesso accade quando anche un solo insegnamento del Dharma viene pienamente afferrato. I nostri pensieri non dimorano in alcun luogo e noi non abbiamo esistenza propria; nondimeno, il merito del kesa diventa il nostro essere. La funzione di un kesa è senza limiti e non si trova in qualche luogo particolare; non è nostra né di qualcun altro. Chiunque possegga un kesa ne trarrà merito.
Un kesa non può essere fabbricato né dalle persone comuni né dai santi. Neppure i dieci santi e i tre saggi sono in grado di padroneggiare il profondo significato di un kesa. Coloro che non possiedono un buon karma possono passare una, due o addirittura un numero illimitato di esistenze senza riuscire a vedere, sentire o conoscere qualcosa sul kesa. Come possono costoro ricevere un kesa? Una volta indossato il kesa, qualcuno ne ricava merito e qualcuno no; chi lo ottiene ne è felice, chi non lo ottiene dovrebbe aspirare ad ottenerlo. Nella totale immensità dei mille mondi, solo i discepoli dei Buddha e dei Patriarchi trasmettono l’abito e il kesa; gli dèi e gli esseri umani lo sanno bene. Lo stile del kesa è trasmesso soltanto attraverso l’insegna-mento dei Patriarchi e di nessun altro. Coloro che non lo sanno e non se ne crucciano devono essere pazzi. Se non trasmettete correttamente il kesa dei Buddha e dei Patriarchi e non ne chiarite il significato, anche se padroneggiare le ottantaquattromila dhāranī[20]del samādhi, non siete discendenti dei Buddha. In tutti gli altri paesi gli esseri senzienti sperano di attingere alla corretta trasmissione che è giunta in Cina ma, mi vergogno a dirlo, non in Giappone. Ciò è veramente increscioso.
In verità, la possibilità d’incontrare la corretta trasmissione del kesa e della Legge del Tathāgata dipende dalla saggezza e dalla virtù che si sono sviluppate nel corso del precedente tirocinio religioso. Durante quest’ultimo periodo degenerato, per ciò che concerne la Legge che si sta estinguendo, molti ignoranti non si vergognano di essere estranei alla corretta trasmissione; piuttosto, sono gelosi nei confronti di chi l’ha ricevuta. Gli oggetti che utilizziamo e il luogo in cui viviamo, fin dall’origine, non appartengono ad alcuno. L’unica cosa che dobbiamo fare è trasmettere correttamente ciò che è stato correttamente trasmesso. Questo è il modo diretto di studiare il Dharma del Buddha. Dovremmo sapere che il kesa è corpo e mente del Buddha. Esso è anche chiamato abito di trascendenza, abito di grande merito, abito di pazienza, abito privo di forma, abito di compassione, abito della suprema e perfetta illuminazione, abito del Tathāgata. Questo è il vero significato del kesa.
Oggi in Cina, durante la dinastia Sung, i seguaci delle scuole Vinayā[21] sono intossicati dalle loro stesse dottrine. Essi non studiano gli insegnamenti delle altre scuole. Il kesa è stato trasmesso dall’India alla Cina e poi, attraverso le dinastie Han e Tang, fino ai giorni nostri; costoro tuttavia, a causa della loro ristrettezza mentale, lo hanno descritto come un accessorio insignificante. Un pregiudizio così puerile è vergognoso. Chiunque abbia del kesa una così limitata opinione, non sa certo cogliere quell’autentica dignità e stile che sono propri del Dharma del Buddha. Ciò avviene quando non si approfondisce il corretto stile dello studio.
È evidente che corpo e mente del Tathāgata sono stati correttamente trasmessi solo dai Patriarchi della nostra scuola. Chi ha l'occasione di imparare lo stile della Via, non distruggerà mai un kesa. Molti tuttavia non hanno chiarito il significato dei sūtra e nemmeno hanno udito l’essenza della Via del Buddha.
Utilizzare materiali scadenti per fabbricare un kesa è contrario alla Legge e snatura il kesa. I discepoli del Buddha non dovrebbero indossare simili kesa. Anche affezionarsi a questo o quel tessuto significa snaturare il kesa, ed è veramente un peccato. Il punto di vista dei seguaci dell’Hīnayāna è abbastanza sciocco; solo se riuscite ad andare al di là di questi pregiudizi, si manifesta il vero kesa del Buddha. Nessun Buddha ha mai detto di utilizzare la seta per fabbricare un kesa. L’insegnamento di tutti i Buddha è che gli stracci e i pezzi di tessuto inutilizzati sono i materiali migliori ed i più puri per fabbricare un kesa.
I dieci tipi di stoffa che si usano per pulirsi il sedere sono di cotone o di seta. Qualcuno potrebbe sollevare obiezioni sull’uso della seta per questo scopo, ma sarebbe fraintendere la Via. Se non si gradisce la seta, allora non vanno bene neanche gli altri tessuti. Perché avversare la seta? È ridicolo obiettare che per fabbricare la seta si uccidono i bozzoli; forse che il tessuto non è anch’esso cosa vivente? La distinzione tra animato e inanimato è materia per la gente comune; se non si abbandona questo punto di vista come si può conoscere il kesa del Buddha? Alcuni ritengono che la seta sia il prodotto di una trasformazione innaturale, ma anche questo è ridicolo. Che cosa non muta in questo mondo? Alcuni possono credere a queste parole ma, non conoscendo essi l’orecchio che è all’interno dell’occhio né l’occhio dentro l’orecchio,[22] dubito che riescano a vedere.
Tra i panni usati per pulirsi il sedere, alcuni hanno l’aspetto di seta, altri di cotone, tuttavia, non li chiamiamo né seta, né cotone; sono solo stracci sporchi. Poiché sono stracci sporchi non c’è seta o cotone. Gli stracci sporchi, anche se sono usati dagli esseri umani e celestiali per tutta una vita, non possono essere considerati oggetti animati; al pari di pini e crisantemi, anche se diventano stracci sporchi, non sono oggetti inanimati. Sono nulla più che stracci sporchi. Gli stracci sporchi non sono seta o cotone; quando abbiamo imparato che essi non hanno rapporto con le idee sulla bellezza, ecco che si manifesta un kesa fatto di stracci sporchi. Se siete intrappolati nella distinzione tra seta e cotone non riuscirete mai neppure a sognarvi il significato di stracci sporchi. Per tutta la vita potrete utilizzare vecchi stracci per fabbricare kesa ma, se non capite cos’è il vero tessuto, non ci sarà la corretta trasmissione del kesa del Buddha. I materiali adatti per fare un kesa sono diversi: panno, seta e pelle. Tutti questi kesa sono utilizzati dai Buddha e possiedono perciò la virtù del Buddha. L’essenza della corretta trasmissione non si è mai interrotta. Dovremmo sapere che coloro che non hanno abbandonato il comune, banale, modo di pensare e prendono alla leggera il Dharma del Buddha, sono estranei alla Via e diffondono false dottrine.
Alcuni sostengono che il kesa derivi dalle tradizioni degli dèi; se davvero così fosse dovremmo pregare che gli dèi diventino Buddha. Altri affermano che una volta dèi ed esseri umani erano in stretti rapporti, che il Buddha proclama la Legge per gli esseri celestiali, e che questi non nutrono dubbi sulla Via. Simili discorsi, fatti da persone che non possiedono la corretta trasmissione del Dharma, sono davvero patetici. C’è una gran differenza tra la capacità di osservazione dei discepoli del Buddha e quella degli esseri celestiali. Questi ultimi, poiché la loro capacità di osservazione è inferiore a quella degli studenti del Dharma, scendono sulla terra per udire la legge dai discepoli del Buddha. In quanto idee proprie dell’Hīnayāna, bisogna che abbandoniamo le opinioni degli śrāvaka e dei maestri dei precetti.
Il Buddha disse: “Se anche uccidete vostro padre e vostra madre, ancora vi è una possibilità che possiate pentirvi. Se invece denigrate il Dharma del Buddha, non vi è speranza di pentimento.” La mentalità ristretta e lo scetticismo non sono il vero Insegnamento del Buddha. I seguaci dell’Hīnayāna non sono in grado di maneggiare la grande Via del Dharma. La corretta trasmissione dei grandi precetti di tutti i Buddha è stata preservata soltanto dai Patriarchi.
Molto tempo fa sul monte Ōbai, a mezzanotte, il kesa del Buddha fu correttamente trasmesso al sesto Patriarca.[23] Fu veramente la corretta trasmissione del Dharma e del kesa perché il quinto Patriarca conosceva bene l’uomo a cui stava donando la Legge. Se il quinto Patriarca fosse stato un arhat,[24] un saggio, un santo, o un insegnante dell’abhidharma o dei sūtra, avrebbe concesso la trasmissione a Jinshū e non al sesto Patriarca. Buddha e Patriarchi scelgono sempre Buddha e Patriarchi. Questo trascende la distinzione tra santi e persone ordinarie; perciò il sesto Patriarca divenne il sesto Patriarca. Dovremmo sapere che l’essenza della trasmissione da Buddha a Patriarca è conoscere se stessi e gli altri; non prendete questo alla leggera.
Più tardi, un monaco chiese al sesto Patriarca: “Il kesa trasmesso a mezzanotte sul monte Ōbai era di seta, di cotone, o di quale altro tessuto?” Il sesto Patriarca rispose: “Non era di cotone né di seta, né di qualsiasi altro tessuto.”
Dovremmo considerare attentamente le parole del Patriarca: “Non era di cotone né di seta, né di qualsiasi altro tessuto.” Pensare che un kesa sia fatto di cotone, seta o qualche altro tessuto è calunniare il Dharma. Come può comprendere il significato del kesa chi ragiona in questo modo? Solo coloro che da tempo accumulano buon karma possono conoscerlo e capirlo. I loro kesa non hanno nulla a che fare con seta o cotone; questa è la norma della Via del Buddha.
Il venerabile Ubakikuta,[25] nacque indossando un kesa e, nel momento in cui si fece monaco, questo si trasformò nell’abito sacerdotale. Dovremmo riflettere quietamente su questo episodio e non fuggire prima ancora di averlo ascoltato, e neppure dovremmo sfuggire l’essenza della corretta trasmissione da Buddha a Buddha, da Patriarca a Patriarca. Se la vostra comprensione è ferma alle parole, non riuscirete mai a capirla né ad immaginarla. In verità, la Via si manifesta in modi innumerevoli; perché dunque limitarvi ai pensieri abituali? Esistono diversi strumenti, dal samādhi alle formule esoteriche; perché dunque la gente trascura il tesoro rappresentato dal kesa?
Questo è l’unico kesa, le cui esatte caratteristiche di forma, colore e dimensione, sono state trasmesse dai Buddha e dai Patriarchi: è il vero kesa di tutti i Buddha. È sempre stato così, in oriente come in occidente, nel passato come al presente. Chi riesce a distinguere, senza errori, un vero kesa da uno falso è già al di là del risveglio. Qualcuno venera kesa diversi da quelli dei Buddha e dei Patriarchi, ma questo non è sufficiente. Senza il seme di un buon karma come si può manifestare il frutto del risveglio? Ora, noi abbiamo la preziosa opportunità non solo di vedere e udire il Dharma, ma anche di vedere, esaminare e ricevere il kesa; questo equivale a vedere il Buddha, udire la sua voce, percepire la sua luce infinita, e utilizzare ciò che egli ha utilizzato. Questa è l’unica trasmissione della mente-di-Buddha, ed è il conseguimento del Suo midollo.
La trasmissione del kesa.
Mentre studiavo la Via in Cina, notai che durante lo zazen mattutino il monaco seduto accanto a me portava il kesa ripiegato sulla testa, univa le mani in gasshō[26] e silenziosamente recitava una strofa. Vedere un simile atto di rispetto mi rese così felice che inzuppai l’abito di lacrime. Avevo letto di questa usanza negli Agama Sūtra, ma non l’avevo mai vista praticare prima di allora. Vedendola con i miei stessi occhi, compresi l’importanza del kesa. Mi vergognai allora della mia ignoranza e mi rammaricai del fatto che nessuno, nel mio paese natale, mi avesse insegnato il modo corretto. Quanto tempo avevo sprecato! Questa mia sofferenza fu comunque compensata dal fatto di vedere di persona come viene utilizzato un kesa. Se fossi rimasto in Giappone avrei forse potuto imparare dai miei amati colleghi monaci il modo corretto di utilizzare un kesa? Ripensai a quei tempi con un misto di dolore e di gioia, e questo mi fece piangere a lungo.
Pur consapevole dei miei numerosi difetti, formulai allora il voto di fare del mio meglio per trasmettere il retto Dharma del Buddha in Giappone, e di mostrare ai miei connazionali il kesa trasmesso da Buddha a Buddha. Tale era il mio sincero desiderio. I discepoli del Buddha che possiedono un kesa, dovrebbero ininterrottamente venerarlo, giorno e notte, e dovrebbero conoscerne il vero merito. Talvolta si può imparare un versetto, o una frase, persino da una pianta o da una pietra. Il merito del kesa correttamente trasmesso è molto difficile da incontrare, in questo mondo.
In Cina, nell’ottobre del 1224, due monaci coreani furono ospitati a Keigen-fu; uno si chiamava Chigen, l’altro Keiun. Entrambi erano esperti dei sūtra e vantavano una vasta conoscenza della letteratura secolare, eppure nessuno dei due possedeva un kesa o una ciotola per le elemosine; in realtà erano più simili a laici che a monaci. Purtroppo, del monaco avevano l’aspetto esteriore, non lo stile. La Corea è un piccolo paese, come il nostro, e probabilmente i monaci giapponesi danno la stessa impressione quando viaggiano in un paese straniero.
Il Buddha Śākyamuni indossò un kesa per dodici anni, senza levarselo di dosso. Tutti i Suoi discendenti dovrebbero seguire questo esempio. Coloro che passano il tempo ad adulare dèi, re e ministri per ottenere notorietà e ricchezza, dovrebbero piuttosto incoraggiare l’uso corretto del kesa; ne deriverebbe una grande gioia.
Scritto il 1° ottobre 1240, dallo śramana Dōgen che ha portato il Dharma dalla Cina, nel Kannondōri del Koshō-Hōrinji.
Appendice
Il materiale che utilizziamo per fabbricare un kesa deve essere puro. Puro significa donato da persone dalla mente pura, acquistato in un mercato, ricevuto in dono da esseri celestiali, divinità-drago, o anche dèmoni. Lo si può accettare anche da re e ministri, e può anche essere di pelle. I dieci tipi di stracci sporchi che si possono usare sono: tessuto masticato dalle vacche, tessuto rosicchiato dai topi, stoffa bruciacchiata, pezzuole usate per il mestruo, pezze usate durante un parto, stoffa beccata dagli uccelli, sudari usati per i cadaveri, stoffe utilizzate in cerimonie religiose, tessuti usati da re e ministri, lenzuola usate per trasportare cadaveri. Questi tipi di stracci possono essere usati per fabbricare un puro kesa.
La gente comune getta via questi panni, mentre i seguaci della Via del Buddha possono usarli. Cercate di capire la differenza tra il modo di agire comune e quello di chi segue la Via. Dunque, se avete bisogno di stoffa pura, dovete cercare questi dieci tipi di panni. Quando li avrete trovati, la differenza tra puro e impuro vi sarà chiara, e potrete comprendere sia il corpo che la mente. Una volta che vi sarete procurati i dieci generi di stracci, vi sarà chiaro il significato di puro e impuro senza guardare se sono di seta o cotone. Nell’indossare un kesa cucito con queste stoffe, non pensate stupidamente che sia solo un abito fatto di stracci; è uno splendido ornamento della Via del Buddha. Un abito può essere confezionato con il tessuto più bello – seta, broccato, stoffa speciale, oro, argento o rare gemme – ma se è contaminato con pensieri impuri è sudicio. In questo paese e altrove, un puro kesa del Buddha è fatto con i dieci tipi di stracci sporchi. Non è sufficiente andare al di là della divisione tra puro e impuro, risveglio e illusione. Non dividete le cose in forma e spirito, guadagno e perdita. Limitatevi a ricevere e preservare la corretta trasmissione, che è Buddha e Patriarchi. Buddha e Patriarchi sempre la tramandano correttamente. Essendo Buddha e Patriarchi, la corretta trasmissione non dipende dalle azioni del corpo, o dall’attività della mente.
È davvero triste che i monaci e le monache del nostro paese non abbiano avuto, per così tanto tempo, la possibilità di indossare un kesa. Poterlo fare ora è un’opportunità fortunata. Perfino i laici che ricevono i precetti, siano essi uomini o donne, dovrebbero indossare un kesa di quindici, diciassette o diciannove pezzi; figuratevi i monaci. Brahmā e gli altri dèi dell’India, uomini e donne di malaffare e gli stessi schiavi dovrebbero subito prendere i precetti del Buddha e indossare un kesa. Perché monaci e monache non indossano il kesa? Perfino gli animali possono ricevere i precetti e indossare un kesa; perché dunque i discepoli del Buddha sono così trascurati in questo?
Pertanto, chiunque divenga discepolo del Buddha – sia egli un essere celestiale o umano, un re, un ministro, un laico, un asceta, oppure uno schiavo, o anche un animale – deve prendere i precetti e trasmettere correttamente il kesa. Questo è il sentiero diretto verso la Buddhità.
Per lavare un kesa, si dovrebbe mettere nell’acqua della polvere d’incenso. Quando è asciutto, piegatelo e posatelo su una mensola, in alto, con davanti fiori e incenso. Prostratevi tre volte e portate il kesa sopra la testa. Giungete le mani in gasshō e recitate questi versi:
Daizai gedappuku
Musō fukuden-e
Hibu nyorai-kyō
Kōdo sho shujō[27]
Dopo aver ripetuto questi versi per tre volte, alzatevi e indossate il kesa.
[1] Bodhidharma (?-528), ventottesimo Patriarca dell’India e primo Patriarca in Cina, introdusse la prassi dello zazen, dall’India. Egli visse nel tempio di Shaolin, uno dei tanti monasteri buddhisti che già esistevano tra i monti Sung-shan, nel nord-ovest della Cina.
[2] Essendo Bodhidharma il 28° Patriarca in India e il 1° in Cina.
[3] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]
[4] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin e quinto Patriarca in Cina. Noto anche come Ōbai. [Ta-man Hung-jen]
[5] Si narra che nell’antica Cina un uomo di nome Benka, avendo trovato una gemma enorme, l’avesse offerta a tre re; nessuno di questi, tuttavia, dimostrò alcun interesse particolare.
[6] Tutte le cose sono impermanenti / La vita segue la legge della distruzione / Nascita e morte non sono altro che distruzione / Proprio all’interno di questo giace la beatitudine del nir-vāna.
[7] Si veda il cap. 78, Kesa Kudoku.
[8] Dal 58 al 76 a.C..
[9] L’Abhidharma, è il canestro dei commentari che assieme ai Sūtra (i discorsi) e al Vinaya (i precetti), forma il Tripitaka, i tre canestri dell’Insegnamento.
[10] Sōtō, Rinzai, Hōgen, Igyō, e Unmon.
[11] Il Maestro Hyakujō Ekai (749-814), il successore del Maestro Baso Dōitsu. [Pai-chang Huai-hai]
[12] Si veda il cap. 77, Jukai.
[13] Si veda il cap. 47, Bukkyō.
[14] Si veda il cap. 21, Juki.
[15] Si tratta di traduzioni cinesi dei Sūtra raccolti dalla scuola Hīnayāna degli Sarvāstivādin. Non differiscono molto dai testi del Sutta Pitaka (il Canestro dei Sūtra) che sono contenuti nel Canone Theravāda.
[16] Si riferisce al Goto-roku (Le Cinque Raccolte della Torcia), compilate durante la dinastia Sung (960-1297). Si tratta di una raccolta delle storie e delle parole degli antichi maestri, a partire dai Sette Buddha.
[17] Si riferisce al Maestro Bodhidharma (?-528) e al Maestro Daikan Enō (638-713).
[18] Lett. “Così arrivato”.
[19] Un Bodhisattva, prima di divenire un Buddha, deve attraversare cinquantadue stadi o condizioni. Il primo gruppo di dieci sono i dieci stadi della fede. I successivi tre gruppi da dieci sono i tre abili stadi. Il quinto gruppo di dieci sono le dieci sacre condizioni. Il cinquantunesimo stadio è “L’equilibrata condizione della verità”, ed il cinquantaduesimo è “La sottile condizione della verità”.
[20] Le dhāranī sono invocazioni alla cui recitazione è attribuito un potere mistico.
[21] Scuole buddhistiche che pongono una particolare attenzione al rispetto delle regole monastiche.
[22] Cioè, la capacità intuitiva.
[23] Si veda il cap. 17, Immo.
[24] Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) passi attraverso quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'entrata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed ultimo è arhat.
[25] Il Maestro Śānavāsa, nato circa cento anni dopo il Buddha, succedendo al Maestro Ānanda, divenne il terzo Patriarca indiano.
[26] Lett. “Con il palmo delle mani unito”. Le mani giunte sono tenute all'altezza del petto, con la punta delle dita grossomodo allineata con le narici.
[27] Magnifico è l’abito di liberazione / Abito privo di forma che è campo di meriti / Onoro l’Insegnamento del Risvegliato / Per la salvezza di tutti gli esseri senzienti