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KESA KUDOKU

Il Merito dell’Indossare il Kesa[1]

 

 

L’insegnamento del Maestro Dōgen è qui interamente volto alla condotta di un monaco o di un laico, e più specificamente nell’indossare gli abiti e nel consumare i pasti, azioni che sono fondamentali nella prassi dello studio. Non a caso, il kasāya e la pātra o ciotola, sono i più noti  simboli della vita buddhi­stica e sono i due oggetti che tradizionalmente fanno parte della tra­smissione da maestro a mae­stro, da Buddha a Buddha. Il testo ci for­nisce anche una precisa descri­zione dei vari tipi di kesa e del loro relativo utilizzo.

 

Il kesa del Buddha che, a partire da Śākyamuni, è stato correttamente tramandato attraverso l’inin­terrotta linea dei Buddha, fu portato in Cina soltanto da Bodhidharma del monte Su, il ventottesimo Patriarca.

In India il kesa è stato trasmesso ventotto volte. Il ventottesimo Patriarca Bodhi­dharma, dopo il suo arrivo in Cina, divenne primo Pa­triarca di quel Paese. In seguito, il kesa è stato trasmesso altre cinque volte fino a Sōkei Enō,[2] il trentatreesimo Patriarca nella stirpe di Śākyamuni, ovvero il sesto Patriarca in Cina. A mezzanotte, sul monte Ōbai, egli ricevette il kesa da Kō­nin,[3] e lo custodì con rispetto per tutta la vita. Questo kesa è conservato ancora oggi nel tempio di Hō­rinji sul monte Sōkei. Più tardi, l’imperatore conferì a Sōkei il titolo di Daikan Enō.

Nei tempi a seguire, numerosi imperatori fecero portare questo kesa nel palazzo imperiale per poter tributare offerte in suo onore. È noto che gli imperatori della dinastia Tang, e in particolare il quarto, Chusho, il settimo, Sukusho, e l’ottavo, Daishu, ne avevano una gran­dissima consi­de­ra­zione. Lo facevano trasportare spesso a palazzo or­dinando che fosse ac­compagnato da messi imperiali sia all’andata che al ritorno. Una volta l’Imperatore Daishu, restituendolo ad Hōrinji,[4] affidò al suo messag­gero questo editto: “Con effetto immediato no­mino il generale Ryusakei pro­tettore e guardiano di questo kesa, che è de­gno di rispetto più di ogni altro. Il generale è attualmente incaricato di mantenere la pace nel nostro Paese. Inoltre proclamo questo kesa te­soro naziona­le. Custoditelo nel vostro tempio ed assicuratevi che tutti i monaci siano consape­voli del suo profondo significato e che venga presa ogni precauzione per impedire che esso vada perduto.”

Gli imperatori di questo piccolo Paese, che possono vedere un kesa del Buddha e rendergli omaggio, sono molto più fortunati e condu­cono una vita ben più eccellente degli imperatori il cui regno si estende su tremila miriadi di mondi. I kesa si trovano in tutti i Paesi in cui è dif­fuso il Dharma del Buddha.

L’antico Patriarca del monte Sugaku[5] fu l’unico che portò avanti l’autentica trasmissione del kesa del Bud­dha, avendo ricevuto la trasmissione diretta da un legittimo discendente. Un esempio di trasmis­sione in­com­pleta è quella tra Hannyatara e il suo allievo Bodhisattva Buddhaba­dra, che ricevette il Dharma ma non il kesa. Buddhabadra trasmise poi il Dharma all’insegnante di Dharma Sōjō, dando così ori­gine ad una linea collaterale. Il quarto Patriarca cinese Dai-i Dōshin[6] trasmise il Dharma ad Hōyū, sul monte Gozu, ma non gli trasmise il kesa che passò invece al quinto Patriarca, il Maestro Zen Kōnin.[7]

Ricevere anche solo il Dharma del Buddha, comporta già un merito inesti­mabile; figuratevi ottenere anche il kesa. Verificate che il kesa che ricevete appartenga alla linea di discendenza del Bud­dha Śākyamuni. Durante i due pe­riodi suc­cessivi all’epoca di Śākya-muni,[8] quando la vera Legge era chiara a tutti, in India e in Cina anche i laici indossa­vano il kesa. In Giappone, invece, un paese sperduto e lontano dall’India, non lo indossano neppure coloro che si tagliano barba e capelli e che si consi­de­rano discepoli del Buddha. Che grande tragedia non rico­noscere la sua trasmissione! Costoro non sanno che si deve indossare il kesa e ignorano tutti gli aspetti relativi alla sua forma e al modo di indos­sarlo.

Fin dai tempi antichi il kesa è stato chiamato “L’abito del non-attac­camento.” Una persona che indossi il kesa è liberato dagli effetti del catti­vo karma, dell’illusione e del desiderio. Un drago che ottenga anche soltanto un filo di un kesa può liberarsi dai tre generi di sofferenza, e un bue che solo sfiori un kesa con le corna sarà dispen­sato dagli effetti delle sue passate catti­ve azioni. Tutti i Buddha, al momento del loro risveglio, indossavano un kesa. Questo fatto mostra a sufficienza quanto sia inestimabile il merito dell’indossare il kesa.

Possiamo rammaricarci del fatto di essere nati in un Paese così lon­tano dall’India, ma quanto siamo stati fortunati ad aver incon­trato il kesa e il Dharma dei Buddha! Quale altra religione o scuola possiede e trasmette corretta­mente il sacro kesa del Buddha Śākyamuni? Chi, avendo incontrato il kesa e il Dharma, potrebbe evitare di venerarli? Lo si dovrebbe fare anche a costo della propria vita che, dopo tutto, ritorna tante volte quanti sono i granelli di sabbia del Gange.

Noi che viviamo in Giappone siamo lontani migliaia di mi­glia dal luogo in cui nacque il Buddha; inoltre per la maggior parte di noi viaggiare è impossibile. Tuttavia, grazie al bene compiuto in pas­sato, né il fatto di essere separati dall’India da monti e oceani né quello di vivere in un’isola abitata da gente primitiva, ci hanno impe­dito di entrare in contatto con la Via. Ora siamo in grado di ricevere, indossare e rispettare il kesa e di studiare con ardore la Via, giorno e notte.

Non si percepisce la Via e non si riceve il kesa per puro caso, né si ottiene questo dopo essersi addestrati sotto uno o due Bud­dha; tutto ciò avvie­ne quando si è studiata la Via sotto un numero di Buddha incalcola­bile come i granelli di sabbia del Gange. E se anche avessimo incontrato il kesa soltanto grazie ai nostri sforzi personali, questo non dovrebbe smi­nui­re il grande piacere che indubbiamente deriva da questo incontro. Ri­spettate e onorate il kesa, sempre. In ve­rità, come ricercatori della Via, siamo per sempre in debito verso i Patriarchi che hanno trasmesso il Dharma.

Perfino gli animali sanno apprezzare la gentilezza manife­stata nei loro confronti. Come si può giustificare che gli esseri umani ignorino la benevolenza loro elargita, specialmente quando questo ri­guarda il rice­vere il Dharma e il kesa, che è il gesto di compassione più apprezzabile? Se non ne siamo consapevoli, di fatto siamo più sciocchi degli animali e me­ritiamo di essere considerati infe­riori ad essi.

Soltanto i Patriarchi sono consapevoli del vero merito del Dharma e del kesa. Chi vuole ricalcare le loro orme dovrebbe pren­dere rifugio nella corretta trasmissione della Via e immergersi total­mente nella prassi. Il Buddha ci ha insegnato che la corretta trasmissione della Via include l’essenza della verità; neppure il tra­scorrere di mille anni può modificare questo fatto. La corretta trasmissione della Via non do­vrebbe essere para­gonata al latte diluito; è invece come un principe eredi­tario che sale al trono. Se avete sete e c’è solo del latte diluito con acqua, allora be­vete questa misce­la. Po­tete però farlo qualora sia stata ag­giunta solo dell’ac­qua; non accet­tate latte che sia stato mescolato con altre sostanze quali olio, lacca o alcool. Un mae­stro che, pur avendo rice­vuto la corretta trasmissione del Dharma, sia un mediocre insegnante, do­vrebbe essere con­siderato come latte di­luito; entrambi contengono l’essenza del tutto.

D’altro canto, un maestro che abbia ricevuto la corretta trasmissione del Dharma e sia un buon insegnante è paragonabile al principe ere­ditario che sale al trono. Un principe dice: “Avendo ere­ditato il trono, in­dosserò soltanto abiti che si addicono ad un re.” Se i laici indossano abiti consoni alla loro condizione, come possono gli studenti del Dharma in­dossare qualcosa di diverso dal kesa?

A partire dal decimo anno del periodo Eihei,[9] durante il re­gno dell’Imperatore Komei della dinastia Han posteriore, un flusso continuo di viag­giatori, monaci e laici, si è mosso tra l’India e la Cina. Nessuno di questi, tutta­via, ha riferito di aver incontrato i Patriarchi che trasmettono il vero Dharma e il kesa. Tutti si sono limitati a studiare a memoria i vari sūtra che avevano udito dagli insegnanti dei sūtra e dell’Abhidharma.[10] È chiaro che nessuno di essi ha fatto qualcosa di più che scalfire la superfi­cie del Dharma.

Assieme all’Occhio e al Tesoro della Vera Legge, il Buddha Śākyamuni trasmise a Mahākāśyapa anche il kesa tramandato a partire dal Buddha Kāśyapa.[11] Accompagnato dalle istruzioni riguar­danti di­mensioni e colore, questo kesa continuò ad essere tra­smesso attraverso l’ininterrotta catena dei Patriarchi fino al Maestro Zen Daikan Enō[12] del monte Sōkei, il trentatreesimo Patriarca. Tutti i successivi discendenti, fino a Seigen e Nangaku,[13] ricevettero questo kesa. Soltanto coloro che rice­vono la trasmissione diretta da un Pa­triarca vengono istruiti su come lavare e indossare un kesa.

Esistono tre tipi di kesa: gojō-e, shichijo-e, e kūjō-e, co­sti­tuiti rispettivamente di cinque, sette e nove strisce di tessuto. Tutti i sin­ceri ricerca­tori che ricevono la corretta trasmissione indos­sano soltanto questi kesa; non ne servono altri, perché questi sono di per sé sufficienti. Si indossa il gojō-e per le incombenze quotidiane, per il samu[14] e quando si è soli nella propria stanza; si indossa lo shichijo-e quando si sta con altri monaci o si partecipa ad una cerimonia; il kūjō-e lo si in­dossa invece quando si insegna, tanto in un palazzo, quanto in un’umile abi­tazione. Quando fa caldo il kesa gojō-e è sufficiente; durante la sta­gione più fresca si indossa lo shichijo-e sopra il primo e nei pe­riodi di freddo intenso si aggiunge ancora il kūjō-e come ulteriore protezione.

Come si indossa il kesa.

Il modo normale di indossare il kesa consi­ste nel drappeggiarlo sulla spalla sinistra lasciando scoperta quella destra; una possibi­le alternativa, usata da Śākyamuni e dai monaci an­ziani, è quella di coprire entrambe le spalle. In quest’ultimo caso si può scegliere se coprire o meno la parte superiore del torace. Nel caso si in­tenda coprire entrambe le spalle, si indossa il grande kesa rokūjō-e. Per indossare il kesa, innanzitutto unite le due estre­mità sul braccio sinistro, vicino alla spalla. Tenete il braccio disteso davan­ti al corpo, piegato orizzontalmente. Il restante tessuto è poi drappeggiato sul braccio fino alla spalla sinistra. Quindi separate le estremità; il lato destro rimane nella sua posizione originale, mentre quello sinistro è disteso e agganciato, partendo dalla spalla sini­stra, sulla schiena.

Nel caso del grande kesa, si tiene il braccio piegato nella po­si­zione de­scritta prima e l’estremità sinistra del tessuto viene aggan­ciata sulla schiena. Il resto del tessuto viene drappeggiato sulla spalla sini­stra fino alla parte inferiore del braccio sinistro, là dove è stata posta l’estremità de­stra. Oltre a quelli de­scritti vi sono anche altri modi di indos­sare il kesa; do­vremmo cercare di conoscerli ponendo domande in proposito.

Nel corso di diversi secoli, che comprendono le dinastie Ryo, Chin, Zui, To e So, molti sono gli eruditi delle scuole Hīnayāna e Mahā­yāna che hanno compreso che lo studio esclusivamente accademico non è il vero Dharma del Buddha. Costoro hanno smesso di fare conferenze, ricevuto il kesa della corretta trasmissione e iniziato lo studio della Via; essi hanno cioè abbandonato il falso per ritornare alla verità.

Il vero Dharma del Buddha proviene dall’India. Sfortunata­mente, molti maestri hanno diffuso insegnamenti basati sulle loro pro­prie opi­nioni, limitate ed errate. In origine, i concetti dualistici circa un mondo di Buddha contrapposto ad un mondo di non-Buddha e di li­mitato contrap­posto ad illimitato, non esi­stevano. In verità gli inse­gnamenti delle scuole Ma­hāyāna ed Hīnayāna sono ben al di là della possibilità di comprensione della gente comune. Molti cinesi, a causa della loro comprensione limi­tata, non hanno saputo riconoscere il vero Dharma venuto dall’India. Costoro hanno distorto gli insegnamenti per ade­guarli alle loro personali e fuorvianti in­terpreta­zioni, che essi sostenevano essere il vero Dharma del Buddha. Questa fu la peg­giore disgrazia.

Coloro che aspirano all’illuminazione dovrebbero accertarsi che il kesa ricevuto sia quello della corretta trasmissione e non un kesa tra­smesso di recente; il primo appartiene alla stirpe di Śākyamuni. Istituito dal Tathāgata,[15] il kesa fu trasmesso dai Patriarchi fino a Bo­dhi­dharma del monte Sū, poi a Enō sul monte Sōkei e, at­traverso i loro di­scendenti, fino ai giorni nostri. Tutti i Patriarchi nella discendenza di Śākyamuni indossano il kesa, mentre quelli creati re­centemente in Cina non appartengono a questa vera discendenza. Dobbiamo essere consape­voli di questo. I monaci che giunsero in Cina dall’India indossavano il vero kesa, non quelli inventati di re­cente dalle scuole Vinaya cinesi. Seguono l’insegnamento di queste scuole soltanto coloro che non sanno distinguere il vero kesa; chi lo conosce le respinge senza alcun dubbio.

Tutti Patriarchi hanno correttamente trasmesso il kesa, dal Bud­dha Śākyamuni fino ai giorni nostri; perciò la sua forma è rimasta riconosci­bile e tutti sanno che esiste. Il kesa che passa correttamente da maestro a discepolo, agisce come sigillo di risveglio; il kesa che fabbrichiamo deve conformarsi a questo. I laici e i santi, gli esseri ter­reni e quelli celestiali, gli dèi draghi, tutti in modo innato, comprendono che questa è la vera trasmis­sione.

Siamo nati in un’epoca in cui il Dharma del Buddha è larga­mente diffuso, perciò abbia­mo buone opportunità di incontrare il kesa. Do­vremmo indossarlo subito; indossandolo anche soltanto per un mo­mento ne trarremo protezione nella nostra ricerca della verità. Inoltre, se abbiamo piena fiducia anche in una sola parola o frase del Dharma, questa agirà come un faro che ci guida al risveglio.

Il nostro corpo è in uno stato di flusso continuo, soggetto all' incessante alternarsi di esistenza e non-esistenza. Nonostante ciò, il merito derivante dall’indossare il kesa e da una coerente prassi della Via si rivelerà infine utile per comprendere il vero significato del kesa stesso; saremo in grado di trascen­dere il ciclo di vita e morte e conseguiremo in­fine la Bodhi. Una persona che non sia stata capace di agire il bene in una vita precedente, non riuscirà a vedere e ricevere il kesa né a comprenderne il significato, per una, due, o addirittura innumerevoli esistenze.

Tanto in Cina che in Giappone vi sono persone che indos­sano il kesa e persone che non lo indossano. Farlo o non farlo non ha alcun rap­porto con la posizione sociale o con il livello di intelligenza; dipende piuttosto dalle azioni compiute nelle esistenze precedenti. Chi è così for­tunato da poter indossare un kesa dovrebbe esserne consape­vole; non do­vrebbe dubitare del merito consegui­to quanto, piuttosto, rallegrarsi per il bene compiuto. Coloro che vorreb­bero indossare il kesa, ma non l’hanno ancora fatto, dovrebbero im­mediatamente co­minciare a coltivare il loro innato seme del bene; come risultato, il loro desi­derio si realizzerà in fu­turo.

Una persona che incontra ostacoli nel realizzare la sua vera vo­lontà di indossare il kesa dovrebbe offrire il suo pentimento ai Tre Te­sori.[16] Egli dovrebbe farlo ripetendo: “Quante persone in quante al­tre con­trade vorrebbero, come i miei compatrioti, che il kesa del Bud­dha fosse corret­tamente trasmesso nei loro Paesi, così da poterlo in­contrare diretta­mente!” Quanto saremmo confusi e tristi se il kesa non fosse stato tra­smesso nella nostra terra! Il fatto che il kesa sia stato tra­smesso nel nostro Paese e che noi l’abbiamo incontrato di­pende dal  bene agito in passato.

In quest’epoca, nella quale il Dharma del Buddha è giunto allo stato finale di degrado, molti non si rammaricano neppure di non aver ri­cevuto la corretta trasmissione del kesa. Contemporaneamente, tuttavia, costoro provano invidia e risentimento nei confronti di coloro che l’hanno ricevuta. Di fatto non sono certo migliori dei dèmoni! Il valore della loro vita è semplicemente il risultato delle passate cattive azioni. Essi dovrebbero prendere rifugio nel Dharma e ritornare alla verità, senza perdere altro tempo,

Il kesa in cui tutti i Buddha hanno preso rifugio è conosciuto come il simbolo di mente e corpo del Buddha. È anche conosciuto come l’abito del non-attaccamento, della buona sorte, del senza-forma, della su­prema­zia, della perse­veranza; come l’abito del Tathā­gata, della grande compas­sione, della clemenza, della trascendenza del male, e infine come l’abito della suprema illuminazione. È la personi­ficazione del Dharma del Bud­dha. In ogni occasione, trattate il kesa con il massimo rispetto e devo­zione e non modificatene la forma in alcun modo.

Il kesa può essere sia di seta che di cotone. Non si do­vrebbe pensare che il cotone è puro e la seta è impura, o che la seta è da preferirsi al cotone. È veramente ridicolo discriminare in questo modo. Secondo la regola, l’abito più adatto, chiamato funzō-e, è completa­mente fatto di stoffe gettate via da altri. Questi stracci pos­sono essere suddivisi in dieci o in quattro tipi. Nella suddivisione in quattro tipi si hanno tessuti bruciacchiati, stoffe masticate da un bue, stoffe rosicchiate dai topi, e infine tessuti usati come sudario.

Nelle cinque regioni dell’India la gente getta questi panni nelle foreste e nei campi, come si fa con gli escrementi. Il nome  funzō-e[17] deriva da tale analogia. I brahmāni raccolgono questi panni, li lavano, li cuciono insieme facendone un kesa, e li indossano. Questi stracci possono essere di seta o di cotone. Il genere di tessuto usato, tuttavia, non ha al­cuna importanza e ragio­narci sopra è pura perdita di tempo; piuttosto concentriamoci sul vero significato di funzō-e. Molto tempo fa, mentre uno Shana Shaya[18] stava lavando il suo kesa, il re dei Draghi,[19] in segno di profondo rispetto e lode, fece ca­dere una piog­gia di fiori su di lui.

I seguaci dell’Hīnayāna ci tengono a precisare che la seta, deri­vando da un essere vivente, è il tessuto migliore. Gli adepti del Mahā­yāna sorridono di questo, sapendo che si tratta di un’affermazione com­pleta­mente priva di senso. Esiste forse qualche tessuto che non proviene da un essere vivente? Eppure gli studenti Hīnayāna sono dubbiosi e non rie­scono a riconoscere ciò che è evi­dente ai loro stessi occhi. I tes­suti utilizzati in India sono nu­merosi come le usanze e le religioni che esi­stono in quel Paese; sa­rebbe impossibile distinguerli in categorie. Tra quelli che racco­gliamo, per forza ve ne sono alcuni di seta e altri di co­tone; non do­vremmo perciò discettare su simili banalità, ma solo riferirci ad essi come funzō-e.

Gli escrementi fanno parte della vita degli esseri umani e di quelli celestiali. Non possiamo fare diversamente, è una cosa naturale. Dun­que accettate gli escrementi come escrementi; non sono necessa­rie altre considerazioni. I pini e i crisantemi crescono tra gli escre­menti; anche questo è al di fuori del loro controllo e deve essere ac­cettato. Gli escre­menti sono escrementi, nulla di più e nulla di meno. Allo stesso modo, il funzō-e è solo il funzō-e, non è seta, non è co­tone, oro, argento o pietre preziose. Finché non comprendiamo que­sto princi­pio e non smettiamo di discriminare tra seta e cotone, non possiamo sperare di comprendere il profondo significato del funzō-e.

Molto tempo fa un monaco chiese ad un vecchio Buddha: “Il kesa trasmesso dal quinto al sesto Patriarca, sul monte Ōbai, era di seta o di cotone?” Il vecchio Buddha rispose: “Né di seta né di co­tone. Il kesa del Buddha non ha alcun rapporto con questi tessuti.” Questo è il vero inse­gnamento del Dharma del Buddha.

Il Venerabile Shōnawashu,[20] venne al mondo con indosso un abito da laico; in seguito, quando rinunciò al mondo, esso si trasformò in un kesa. La monaca Senbyaku, una volta offrì un tappeto rosso al Buddha Śākyamuni e, grazie a questo gesto, nelle esistenze succes­sive riuscì sempre ad indossare un kesa. Come il Venerabile Shōna­washu anche noi, entran­do nell’ordine dei monaci, vedremo i nostri abiti da laici trasfor­marsi nel kesa del Buddha. È perciò chiaro che il kesa non è fatto di seta, di cotone o di qualsiasi altro tessuto; inoltre, il suo merito non è circo­scritto solo a Shōnawashu e a Senbyaku ma si estende, in gradi di­versi, a tutti gli esseri. Solo dopo che ci siamo ad­destrati ininterrottamente per lungo tempo, possiamo comprendere questo fino in fondo.

Si dice che Mahākāśyapa quando si presentò a Śākyamuni per ricevere i precetti, indossasse un kesa che non era fatto né di cotone né di seta. Il Dharma del Buddha è molto al di là della com­pren­sione della gente comune e lo stesso vale per il merito inerente il kesa. In­vestigate atten­tamente le varie specie, colori e di­mensioni del kesa, e così pure tutti gli aspetti connessi alla sua forma e non-forma, alla sua misu­rabilità e incommensurabilità. Questo è un aspetto che i Patriar­chi indiani e cinesi non hanno mai trascurato di investigare e trasmettere.

Molte persone, pur non contestando che il kesa sia stato cor­retta­mente trasmesso da Patriarca a Patriarca, non fanno alcuno sforzo per ri­ceverlo. Questo modo di agire, risultato della loro stupidità e man­canza di fiducia, è imperdonabile. Essi non sanno distinguere il vero dal falso, i rami dell’albero dal tronco. In verità, queste persone disprezzano il Bud­dha. Coloro che hanno risvegliato la mente che cerca il Buddha, de­vono senza dubbio ricevere il kesa della corretta trasmissione. Rice­vere il kesa non è meno importante che vedere real-mente il Buddha in persona, ascol­tare i Suoi insegna­menti, ottenere la diretta percezione della sua stessa mente e realizzare la sua stessa pura es­senza; siamo avvolti nel kesa elargitoci dal Buddha Śākyamuni stesso. È dun­que chiaro che tutti i veri devoti accettano umilmente il kesa.

Il modo per lavare il kesa è questo: senza pie­garlo, mettetelo in una tinozza di legno pulita. Riempite la tinozza di acqua bollente e pro­fumata, e lasciate lì il kesa per un paio d’ore. In alterna­tiva, si può mettere il kesa in una tinozza di acqua bollente, mescolata con cenere, e lasciarlo a bagno finché l’acqua si è raffreddata. Questo ultimo modo, chiamato kunoyu, è quello preferito ai giorni nostri. Quan-do l’acqua si è raffred­data e la cenere si è depositata, prendete il kesa con entrambe le mani e cominciate a lavarlo; continuate con la massima cura fino a che tutto l’unto e lo sporco sono stati completa­mente elimi­nati. Cercate di non stropicciarlo e non calpestarlo. Sciac­quatelo poi in acqua contenente jinko, o estratto di sandalo, e per farlo asciugare appendetelo ad un palo. Quando il kesa è comple­ta­mente asciutto, piegatelo e sistematelo su un supporto abbastanza alto. Bruciate incenso davanti ad esso, cospargetelo di fiori e girategli diverse volte attorno, in senso orario. Prostratevi davanti al kesa tre, sei, o nove volte e infine, stando in ginocchio con le mani giunte in gasshō, recitate questi versi:

 

Magnifico è questo kesa che conduce a liberazione e feli­cità, di là da ogni forma. Dobbiamo concentrarci sull’insegnamento del Tathāgata e fare voto di salvare tutti gli esseri senzienti.”

 

Conclusa la recita­zione, alzatevi in piedi ed indossate il kesa nel modo prescritto.

Il Buddha Śākyamuni, rivolgendosi ad un gruppo di monaci, disse: “Quando studiavo sotto il Bodhisattva Hōzō,[21] ero conosciuto come il Bodhi­sattva Kannon. Formulai allora un voto a questo Bodhisattva: ‘Onoratissimo Bo­dhisattva, poniamo il caso che dopo il mio risveglio una persona rinunci al mondo, riceva l’ordinazione e indossi il kesa del Bud­dha. Supponiamo inoltre che questi, sia esso laico[22] o monaco, per man­canza di fede rompa le dieci regole della prassi, coltivi pensieri impuri e schernisca i Tre Tesori ma che più tardi, comprendendo i suoi errori, si penta e torni a venerare i Tre Te­sori ed il kesa, anche solo per un momento. Ebbene, se questa persona non può più avere predizione di Buddhità[23] ed il suo addestramento re­gredisce, allora vorrà dire che ho ingannato gli in­numere­voli Buddha e la mia illuminazione è falsa.

Venerabile Buddha, poniamo il caso che dopo la mia illu­mina­zione ci sia un drago celestiale, o un dèmone, o un essere umano, o non-umano, che venera il kesa del Buddha. Questo essere otterrà per ciò stesso una profonda comprensione intuitiva del significato del kesa e continuerà il suo studio nei Tre Veicoli, senza impedimenti. Se qualcuno, tra gli esseri senzienti affamati o assetati, tra i dè­moni  di aspetto miserabile, tra gli esseri umani di umili origini, o tra gli spiriti affamati, ottiene anche solo dieci centimetri di kesa del Buddha, immediatamente costui sarà liberato da ogni sofferenza e po­trà vedere realizzate tutte le sue aspirazioni.

Consideriamo un qualsiasi essere tra i draghi, i musicanti celestiali, i dèmoni combattenti, gli uccelli garuda,[24] i kimnara,[25] gli dèi dalla testa di serpente, i dèmoni  terrestri che divorano gli esseri umani, i dè­moni  celestiali che divorano gli esseri umani, o tra gli esseri umani e non-umani che sono ostili e pieni di risentimento per i conse­guimenti altrui. Un tale essere, semplicemente pensando al kesa con rispetto, conseguirà una mente compassionevole, sensibile, priva di risentimento, contenta ed eter­na­mente pacificata; in altre parole, sarà purificato.

Supponiamo che, a causa delle circostanze, una persona si trovi coinvolta in uno scontro tra uomini armati o disarmati. Essa deve soltanto portare rispet­tosamente con sé un piccolo pezzo di kesa per ottenere pro­tezione da qualsiasi nocumento e superare tutte le diffi­coltà. Venerabile Buddha, se il mio kesa non possiede questi cin­que sa­cri meriti, allora ho ingannato tutti i Buddha nelle dieci direzioni, la mia illuminazione è falsa, non ho la capacità di guidare gli esseri senzienti alla Via, il Dharma è perduto e ogni confutazione delle dottrine errate è im­possibile’.

O buoni discepoli, in quel momento il Bodhisattva Hōzō alzò il suo dorato braccio destro, mi accarezzò la testa e mi elogiò di­cendo: ‘È ve­ramente meravi­glioso! Le tue parole sono un magnifico tesoro colmo di saggezza. Tu hai già conseguito il supremo risveglio; il tuo kesa possiede i cinque sacri meriti[26] ed è in grado di elargire innu­merevoli benefici a tutti gli esseri’.

O buoni discepoli, le parole del Bodhisattva Hōzō mi com­mos­sero profon­damente e fui colmo di una gioia profonda. Al tatto, la sua mano sembrava rivestita di pura seta delicata, le sue dita erano come un liscio abito celestiale. Quando mi toccò la testa, il mio corpo si sentì come quello di un giovane di vent’anni.

O buoni discepoli, in quel momento tutti gli esseri celestiali, i re dei draghi, gli dèi della musica, gli esseri umani e non-umani si prostra­rono davanti a me e mi offrirono fiori esotici in segno di devo­zione. Gu­stammo molta allegria e molta musica, prima che finalmente tornassero la calma e la completa serenità.”

I cinque sacri meriti descritti in precedenza costituiscono il noc­ciolo di tutti i meriti insiti nel kesa e sono elencati dettagliatamente nei sūtra e nei precetti dei Bodhisattva. Tutto questo è altrettanto vero oggi quanto ai tempi di Śākyamuni. Il kesa, l’abito dei Buddha nei tre mondi,[27] possiede veramente merito in quantità incalcolabile. Un kesa della linea del Buddha Śākyamuni è l’unico vero kesa e il suo merito è ben superiore a quello di qualsiasi altro kesa di una linea collaterale. Control­late, prima di accettare un kesa, che esso sia del primo genere. Il Buddha Śākyamuni, quando era il Bodhisattva Kannon[28] e studiava sotto il Bodhisattva Hōzō, formulò cinquecento grandi voti, dei quali una parte speciale fu riservata al merito del kesa. Indiscuti­bilmente, dunque, il suo merito è incommensurabile ed è ben al di là della comprensione razionale.

La pura essenza del Buddha Śākyamuni è concretizzata dal kesa; perciò i Patriarchi lo ricevono sempre insieme al Dharma. Il suo merito non può decrescere e chiunque lo indossi si ri­sve­glierà sicura­mente all’illuminazione, entro le due o tre esistenze succes­sive. Anche chi indossi il kesa per un breve periodo o solo ma­nifesti l’intenzione di farlo, per questo realizzerà infine il risveglio. Il Pa­triarca Nāgārjuna[29] disse: “Anche un monaco che viola i precetti o com­mette un crimine, purché si penta, conseguirà il risveglio.” Questo è il me­rito imperituro del kesa, come è illustrato anche nella seguente storia.[30]

Ai tempi del Buddha Śākyamuni viveva una monaca chia­mata Utpalavarnā.[31] Questa monaca era un arhat[32] ed era dotata dei sei po­teri stra­ordinari.[33] Un giorno fece visita ad una signora di nobile stirpe ed in tale occasione elogiò l’atto di rinun­ciare al mondo; le donne a cui stava par­lando dissero: “Noi siamo ancora giovani e belle, per noi sa­rebbe im­pos­sibile rispettare i precetti. Sicuramente finiremmo con l’infrangerli.” La monaca replicò: “Non preoccupatevi per questo, perché è meglio per voi entrare nel Samgha anche se non siete in grado di rispettare i precetti, piuttosto che rimanere nella condizione laica.” Le donne protestaro­no: “Come puoi affermare ciò, ben sapendo che se rompiamo i precetti finiremo all’in­ferno e soffriremo enorme­mente?”

In risposta, la monaca raccontò la sua esperienza: “In una vita pre­ceden­te ero una prostituta. Indossavo abiti indecenti e mi divertivo a ri­dere e scher­zare con i miei compari. Un giorno, tuttavia, indossai per scherzo il kesa di una monaca. Grazie a questo, incontrai il Buddha Kā­shyāpa e nell’esistenza successiva percepii la Via ed entrai nel Samgha. Ero però nata in una nobile famiglia ed ero molto bella e orgogliosa. Infransi i precetti molte volte e tornai di nuovo negli in­feri, dove soffrii molto. Tuttavia, gra­zie alla grande compassione del Buddha Śākyamuni, nacqui an­cora nel mondo degli uomini, nuova­mente percepii la Via, nuovamente ricevetti l’ordinazione. Mi adde­strai duramente e diligentemente, realizzai infine la condizione di ar­hat e acquisii i sei poteri straordinari. Posso così assicurarvi che chiunque abbia ricevuto l’ordinazione, anche se in­frange i precetti, re­alizzerà il risveglio. Un laico invece non può farlo. Io stessa ho sba­gliato ripetutamente, finendo diverse volte all’inferno. In certi mo­menti la mia vita era così depravata che non potevo neppure sfio­rare una briciola di risveglio. Ma ora sinceramente dico che chiunque in­franga i precetti, se ha ricevuto l’ordinazione, alla fine giungerà al ri­sveglio; questo è il merito del kesa.”

Fu il merito derivante dall’indossare il kesa, fosse anche solo per scherzo, che consentì alla monaca Utpalavarnā di conseguire infine i sei poteri straordinari, le tre splendenti conoscenze, e di realizzare la condi­zione di grande arhat. Dapprima essa incontrò il Buddha Kāshyāpa, ri­nacque in questo mondo, percepì la Via ed entrò nel Samgha. Infine, dopo aver incontrato il Buddha Śākyamuni, conse­guì la condizione di arhat, i sei poteri straordinari e le tre splendenti cono­scenze. Queste tre sono: ten­gentsu, il potere della vista sovranor­male, shukumyotsu, il potere di ri­corda­re le vite precedenti e rojin­tsu, la liberazione dal ciclo di vita e morte. I sei poteri straordinari sono i tre precedenti più: jinkyotsu, il potere di assumere qual­siasi forma, tennitsu, il potere dell’udito sovra­normale e tashintsu, il potere di percepire i pensieri al­trui.

Coloro che indossano il kesa realizzano certamente il risve­glio. La monaca Utpalavarnā, che infranse diverse volte i precetti presi con l’ordinazio­ne e che la prima volta aveva indossato il kesa per scherzo, ci riuscì in tre sole esistenze. Come può dunque non riuscire a fare altret­tanto una persona che riceva il kesa sinceramente e con cuore puro? Coloro che sono riusciti a percepire la Via, dovrebbero su­bito ri­ce­vere il kesa. Lasciarsi sfuggire una simile occasione di pian­tare il seme del risveglio, sarebbe più che tragico. Sarebbe veramente da pazzi essere nati come esseri umani, aver conosciuto gli insegna­menti del Buddha Śākyamuni e ricevuto il kesa della trasmissione, per poi non riconoscere la nostra buona sorte e sprecare senza signifi­cato la nostra vita.

Soltanto coloro che ricevono il kesa da un Patriarca, entrano a far parte della stirpe del Buddha Śākyamuni. Chi non ha ricevuto un kesa in questo modo, non è in alcun modo simile a loro. Ricevere un kesa qual­siasi comporta, in ogni caso, grande merito; quanto mag­giore è il merito se rice­viamo il kesa direttamente da un Patriarca! Un kesa della corretta trasmissione incarna la vera essenza del Buddha Shākyamuni e coloro che lo ri­cevono sono Suoi figli e Sue figlie. I Buddha, i Bodhisattva e gli śrāvaka[34] nei tre mondi e nelle dieci dire­zioni, non cessano mai di proteggere un kesa della corretta trasmissione.

Il kesa deve essere fabbricato secondo la modalità stabilita da Śākyamuni. Si dovrebbe usare cotone grezzo; in mancanza di cotone si può uti­lizzare della seta comune e, mancando pure questa, è permesso usare un tessuto leggermente decorato. In regioni dove non si riesca a reperire al­cuno di questi tessuti, si può usare in alternativa la pelle di un animale. Un kesa può essere tinto di blu, di giallo, di rosso, di nero, di por­pora, oppure con una miscela di questi colori. Il Tathāgata in­dossava sem­pre un kesa color carne. Il primo kesa trasmesso in Cina era fatto con un filato tratto dal centro di una balla di cotone, e tinto di nero con riflessi bluastri. Questo kesa, trasmesso correttamente dalla successione intera dei ventotto Patriarchi indiani e dei primi cin­que Patriarchi cinesi, è ora cu­stodito sul monte Sōkei. Tutti i discepoli del Sesto Patriarca trasmisero il kesa, preservandone così la discen­denza. Non c’è confronto possibile tra questo kesa e quelli di altre li­nee o scuole.

Vi sono tre generi di kesa: quelli composti da stoffe gettate via da altri, quelli fatti con pelliccia di animale o piume d’uccello, e quelli co­sti­tuiti da tessuti logori e rattoppati. Non si dovrebbero usare stoffe  lus­suose o che il mondo predilige.

Una volta, il Venerabile Upāli[35] chiese a Śākyamuni: “Venerabile Budd­ha, per un kesa sōgyari quante strisce di tessuto sono necessarie?” Śākyamuni rispose: “Questo kesa è costituito da nove, op­pure undici, tredici, quindici, diciassette, diciannove, ven­tuno, ventitré o venticinque strisce di stoffa. Nei primi tre tipi, ogni striscia è formata da tre pezzi di stoffa, due lunghi e uno corto. Nei tre tipi succes­sivi, ogni stri­scia è formata da tre pezzi lunghi e uno corto. Negli ultimi tre tipi, da quattro pezzi lunghi e quattro pezzi corti. Non è consentito usare kesa di­versi da questi.”[36]

Upāli chiese ancora: “Venerabile Buddha, di quali dimensioni può essere un kesa sōgyari?” Il Buddha rispose: “Può essere di tre di­mensioni: grande, media e piccola. Il kesa grande è largo tre chu[37] e lungo cinque chu, il kesa piccolo è largo due chu e mezzo e lungo quattro chu e mezzo, quello medio sta esattamente tra i due.” Upāli continuò: “Venerabile Buddha, quante strisce di tes­suto servono per il kesa uttarasō?” Il Buddha rispose: “Sette strisce, ognuna delle quali è compo­sta da due pezzi lunghi e uno corto.”

Upāli chiese poi: “Venerabile Buddha, di quali dimensioni può essere un kesa di sette strisce?” Il Buddha rispose: “Può essere di tre di­mensioni: grande, media e piccola. Il kesa grande è largo tre chu e lungo cinque chu; il kesa piccolo è mezzo chu più stretto e più corto, e quello medio sta esattamente tra i due.” Upāli continuò: “Quali dimensioni può avere un kesa gojo-e?” Il Buddha rispose: “Può avere tre diverse dimensioni: grande, media e piccola. Il kesa grande è largo tre chu e lungo cinque chu; quello me­dio e quello piccolo hanno dimensioni analoghe a quelli già descritti.” Vi sono poi due altri generi di kesa gojo-e. Le loro dimen­sioni sono rispet­tivamente di due chu per cinque, e di due chu per quattro.”

Questi kesa hanno anche altri nomi: il kesa sōgyari, il kesa uttarasō e il kesa gojō-e sono conosciuti rispettivamente come “Grande kesa”, “Kesa che si indossa sopra” e “Kesa che si indossa sotto.” Il primo, il sōgyari, è anche chiamato doppio kesa, e si in­dossa quando ci si reca a Palazzo e quando si insegna il Dharma. Il kesa utta­rasō, chiamato anche abito di sette strisce o kesa medio, è indossato du­rante il lavoro quotidiano e per l’addestramento. Questi kesa, così come quello formato da sessanta strisce, devono essere eterna­mente rispettati e conservati. Ricordatevi di questo.

Si ritiene comunemente che in passato gli uomini vivessero circa ottomila anni. Oggi si può arrivare a vivere cent’anni. Alcuni so­stengono che questo mutamento nella durata della vita abbia prodotto un cambiamento nelle dimensio­ni del corpo umano, mentre altri ne­gano que­sta ipotesi. Quest’ultima opinione è conforme alla corretta trasmissione.

C’è una grande differenza tra l’altezza di un Buddha e quella di un uomo comune: l’altezza di un uomo è misurabile, quella del Buddha, no. Il kesa del Buddha Kāshyāpa non è troppo lungo né troppo largo per il Buddha Śākyamuni. Analogamente, il kesa del Buddha Śākyamuni non è troppo corto né troppo stretto per il Bud­dha Maitreya. Il corpo di un Buddha è al di là di ogni limitazione, quindi anche della misura. Brahmā, pure se è il sovrano del paradiso Trāya-strimśa,[38] non è in grado di scor­gere la sommità del capo del Bud­dha. Una volta Mokken­ren, volendo va­lutare la portata della voce del Buddha ed essendo esperto nei poteri mi­stici, si recò nel mondo dello Stendardo Brillante, dove ancora riuscì a sentire il Buddha. Comprendiamo perciò che il Buddha è al di là dei limiti propri della comprensione razionale, e che il Suo vero potere è manifesto.

Secondo il modo di realizzazione, si distinguono quattro tipi di kesa: katsu-e, chyo-e, shoyo-e e man-e. Il primo è formato unendo piccoli pezzi di stoffa, il secondo è formato da pezzi più grandi, il terzo da pochi grandi pezzi, e il quarto da un unico grande pezzo. Tutti que­sti sono kesa della corretta trasmissione e tutti dovrebbero perciò es­sere venerati.

Śākyamuni disse: “Il kesa indossato dai Buddha dei tre mondi è fatto con stoffa pura e pulita ed è cucito a punto indietro.” Il funzō-e, considerato il tessuto più puro e pulito, è il più adatto. Si possono anche usare abiti acquista­ti con le donazioni dei laici. In pas­sato, il tempo neces­sario per fabbricare un kesa era disciplinato da re­gole severe.[39] Oggi, tutta­via, vivendo in un’epoca in cui il Dharma del Buddha è degenerato, do­vremmo semplicemente accettare un kesa cu­cito da laici sinceri, senza considerare il tempo impiegato.

Il fatto che il kesa possa essere ricevuto sia dai laici sia dagli esseri celestiali, è un grande segreto del Mahāyāna. Questo vale anche per i Re Brahmā e Indra, che sono esempi eccellenti per il mondo terreno. Nel mondo degli uomini, come è dimostrato da numerosi casi, i Bodhisat­tva laici in­dossano il kesa. In Cina gli Imperatori Bu[40] della dinastia Liang, e Yang[41] della dinastia Sui, indossavano il kesa, e così pure gli Imperatori Tai-tsung e Su-tsung; questi ultimi ricevettero anche istru­zioni da sacerdoti buddhi­sti, e presero i precetti del Bodhisattva. In Giappone, il principe Shōtoku[42] indossava il kesa del Bud­dha e teneva lezioni sul Sūtra del Loto e sullo Shōman Sūtra; si dice che, inse­gnando, avesse la sensazione che una pioggia di fiori cadesse su di lui. A partire da quel periodo, il Dharma cominciò ad essere largamente diffuso in Giappone. Shōto­ku era il principe reggente del Giappone ma fu anche insegnante di tutti gli esseri umani e celestiali. Fu un messaggero dei Bud­dha, padre e madre di tutti gli esseri senzienti.

Anche se i kesa che si trovano in Giappone spesso sono di­versi da quelli prescritti per forma e colore, è merito del principe Shōtoku per­fino il fatto che la parola kesa sia conosciuta. Sarebbe stato veramente terribile se egli non avesse ricusato le false dottrine e affermato la verità. In seguito, anche l’Impe­ratore Shōmu[43] indossò il kesa e ricevette i precetti. Tutti quanti, siano essi imperatori o sudditi, dovrebbero al più presto ricevere i precetti ed indossare il kesa. Il mondo degli esseri umani non può offrire una gioia maggiore di que­sta.

Il kesa dei laici è chiamato ampo, o abito a cucitura sin­gola, o ancora abito ordinario. È chiamato così perché nel fab­bricarlo non si usano cuciture doppie. Un laico che entra nella vita monastica dovrebbe possedere tre tipi di kesa, un bastoncino per la pulizia dei denti, l’acqua per sciacquare la bocca, gli utensili per man­giare, ed uno zagu.[44] Do­vrebbe quindi cominciare ad addestrarsi se­condo le regole della vita monastica. Questo è il modo insegnato da molti saggi del passato. Gli ori­ginari insegnamenti del Buddha, tutta­via, non concordano con questo. Essi affermano che il kesa trasmesso a re, ministri, soldati, ed in generale ai laici, deve essere cucito a punto indietro. Il Maestro Sōkei Enō trasmise il vero kesa; egli costituisce dun­que un eccellente esempio.

Il kesa è il simbolo del discepolo del Buddha, e coloro che lo ri­cevono dovrebbero rendergli onore, giorno e notte. Prima di indossare il kesa dobbiamo poggiarlo sulla nostra testa, giungere le mani in gasshō e recitare questi versi:


Magnifico è questo abito di liberazione,

simile ad un campo che dispensa grande gioia e felicità.

Onorando gli insegnamenti del Tathāgata

facciamo voto di salvare tutti gli esseri senzienti.”


Questo kesa è degno del più alto onore. Rispettatelo come fare­ste con il vostro Maestro o con uno stūpa. I versi prima citati sono recitati anche rendendo onore ad un kesa appena lavato.

Il Buddha disse una volta: “Un uomo che si rade il capo e in­dossa un kesa, ottiene la protezione di tutti i Buddha; perfino i pa­renti di chi riceve l’ordinazione saranno onorati da tutti gli esseri celestiali.” È dun­que chiaro che tagliandoci i capelli ed indossando il kesa otterremo la pro­tezione di tutti i Buddha, il nostro addestramento sarà sgombro da ogni osta­colo, ed infine realizze­remo l’illuminazione; inol­tre, saremo rispettati e onorati da tutti gli esseri celestiali e terrestri.

Il Buddha Śākyamuni disse una volta al monaco Chiko: “Il kesa possiede dieci me­riti meravigliosi:

1. Copre il corpo, evita ogni imbarazzo, induce a pentirsi, ge­nera un buon addestramento.

2. Protegge il corpo dalle temperature estreme, dalle zanzare, dagli insetti venefici, dai serpenti velenosi e dagli animali pericolosi; con­sente perciò un addestramento continuo e senza ostacoli.

3. Permette di riconoscere immediatamente un monaco, e procura, a chi lo vede una grande gioia e la liberazione dall’illusione.

4. È il simbolo più stimato tra gli esseri umani e celestiali, e la sua rispettosa venerazione garantisce la rinascita in qualità di re Brahmā.

5. Elimina ogni colpa e procura illimitata felicità; indossan­dolo, compren­diamo che esso è il vero simbolo della Via del Buddha.

6. Elimina i cinque desideri erronei[45] e ogni forma di avi­dità, a causa del colore spento con cui viene tinto al momento della fabbrica­zione.

7. Trasforma l’illusione in gioia eterna perché reca in sé la pura essenza del Buddha.

8. Libera la mente dal male e spinge coloro che lo indossano ad agire il bene nelle sue dieci forme.[46]

9. Fa germogliare l’innato seme del Bodhisattva, come come il riso in una fertile risaia.

10. Protegge tutti coloro che lo indossano dalle velenose frecce dell’illusione.



Chiko, a causa di questi meriti tutti i Buddha nei tre mondi, i pratyekabuddha,[47] gli śrāvaka e tutti i monaci sinceri, quando indossano il kesa siedono insieme sullo stesso seggio del non-attacca­mento, impugnano la stessa spada di saggezza, domano il desiderio ed entrano nello stesso nirvāna.”


Il Buddha Śākyamuni recitò poi questi versi:


Chiko, ascolta attentamente:

Il kesa del Buddha ha dieci meriti meravigliosi. I vestiti di un laico accre­scono il desiderio, l’abito del Tathāgata, no.

Gli abiti buddhistici ci proteggono dall’imbarazzo e procu­rano gioia illimita­ta.

Ci proteggono dalle temperature estreme e dagli insetti vele­nosi, e per­mettono la crescita della mente che cerca il Buddha; alla fine re­alizzeremo l’il­luminazione.

Permettono di riconoscere immediatamente un autentico mo­naco e ci liberano da ogni forma di avidità.

Inoltre distruggono le cinque opinioni errate[48] e favoriscono un ad­de­stra­mento efficace.

Ricevete e venerate il kesa, il simbolo dell’illuminazione, perché questo allieta il Re Brahmā.

Miei discepoli, considerate il kesa come uno stūpa perché questo genera grande gioia, libera la mente dal male e con­duce al risveglio sia gli esseri umani sia quelli celestiali.

Un vero monaco è diligente e rispettoso, agisce secondo la sua condizione e non è contaminato né da illusione né da azioni malva­gie.

Tutti i Buddha elogiano il kesa, come farebbero con una fer­tile ri­saia, perché esso è il grande dispensatore di pace tra gli es­seri celestiali e umani.

Il kesa è dotato di poteri straordinari perché può piantare il seme dell’illuminazione.

Aiuta il novello germoglio della mente che cerca il Buddha a fio­rire come una pianta primaverile, in una fertile risaia.

I risultati dell’addestramento buddhistico sono come il rac­colto mietuto in autunno.

Il potere del risveglio protegge come un’armatura di diamante che ci salva dalla velenosa freccia dell’illusione.

Ho elencato in breve i dieci meravigliosi poteri del kesa, anche se tutte le parole sono insufficienti, e potrei continuare per l’eter­nità. Se un drago riesce a portare con sé anche solo un filo del kesa, sarà protetto e non potrà essere divorato dall’uccello garuda.[49]

Coloro che attraversano i grandi oceani, se indossano anche solo un pezzo di kesa, saranno protetti dai pericoli costituiti dai draghi, dai pesci e dai dèmoni.

Quando i grandi temporali scuotono i cieli, coloro che indos­sano il kesa non devono avere paura.

Un laico che indossa il kesa terrà lontano ogni male e, avendo per­cepito la Via, ricevuto l’ordinazione e lasciato il mondo, farà vacil­lare le dimore dei dèmoni.

Questa persona apparirà presto nel corpo della vera forma.”


Questi dieci vantaggi del kesa possiedono i diversi meriti che si attribui­scono alla Via del Buddha. Investigateli a lungo, parola per parola; una semplice impressione generale non è per nulla ade­guata. Questi meriti derivano soltanto dal kesa e non dipendono dalla diligenza con cui un mo­naco si addestra. Śākyamuni affermò: “I meriti del kesa sono incomprensi­bili.” Questo è vero, indipen­dentemente dalla persona che lo indossa, sia essa un uomo comune, un religioso o un saggio. Solo coloro che in­dossano il kesa possono realizzare il risveglio. Questo è un dato di fatto incontestabile, vero oggi come ai tempi antichi.

Il funzō-e è il tessuto più puro e pulito con cui realizzare un kesa. I sūtra, il vinaya e l’abhidharma delle scuole Mahāyāna e Hī­nayāna lo affermano chiaramente. Se vogliamo conoscere maggiori detta­gli su questo argomento e sui tessuti permessi, dobbiamo chiedere ad un vero maestro. Soltanto i Buddha e i Patriarchi possono completamente spiegare e correttamente tra­smettere il kesa del Buddha.

Nel Mādhyam-āgama-sūtra[50] è scritto: “O uomini onorati, sup­po­niamo che un uomo agisca con purezza, ma parli e pensi in modo impuro. Se un saggio si adira vedendo questa persona, deve immediata­mente estinguere la sua ira. Supponiamo che un uomo agi­sca in modo im­puro ma parli e pensi con purezza. Se un saggio si adira vedendo questa persona, deve immediatamente estinguere la sua ira. Come può fare que­sto? Può farlo seguendo l’esempio di un mo­naco solitario che raccoglie stracci abbandonati per cucire un funzō-e. Quando trova abiti logori e sporchi di escrementi, di urina o di muco, li prende con la mano sinistra e con la destra strappa le parti meno sporche e consumate. Una perso­na che si adira vedendo qual­cuno che pensa o parla in modo impuro ma che agi­sce con purezza, dovrebbe investigare questo, e rimuovere la sua rabbia nello stesso identico modo.”

Questo è il modo corretto di raccogliere stracci per realiz­zare un funzō-e. La stoffa usata può essere di quattro o dieci tipi. I dieci tipi sono: stoffe masti­cate da un bue, stoffe rosicchiate dai topi, tessuti bru­ciacchiati, stoffe sporche di sangue mestruale, stoffe sporche di san­gue di puerpera, stoffa che è stata gettata in un reli­quiario, tessuto usato come sudario, tessuto offerto in dono, abiti di­smessi da ufficiali di corte, stoffa usata per coprire un morto.

Questi dieci generi di tessuto, essendo privi di valore per la gente comune, sono abbandonati in gran quantità. Una volta lavati, tutta­via, essi costituiscono il materiale più puro e adatto per cucire un kesa. Tutti i Buddha nei tre mondi elogiano questi tessuti che, sotto forma di kesa, sono rispettati e protetti dagli esseri umani e celestiali, e dai dra­ghi. È senza dubbio con questi stracci, dunque, che dob­biamo preparare il nostro kesa.

Purtroppo in Giappone, un paese piccolo e remoto, non è facile trovare questo genere di stracci. Anche se volessimo cercarli, non riusci­remmo a trovare un luogo in cui rifornirci. In alternativa, si dovrebbero usare tessuti donati da laici sinceri o da esseri celestiali. È adatta anche la stoffa acquistata con denaro ottenuto attraverso una vita onesta. Il mate­riale che si usa per il kesa non è cotone né seta, e neppure oro, argento, seta tessuta, seta pregiata, broccato o stoffa ri­camata. È semplicemente stoffa che nessuno vuole più ed è gettata via, e non ha alcuna importanza se è in buono stato o consumata. Que­ste istruzioni per realizzare il kesa sono l’insegnamento del Dharma; abbiate buona cura di preparare il kesa secondo le regole. Se volete altre informazioni circa il suo merito, dovete rivolgervi soltanto ai Buddha e ai Patriarchi e non ai comuni esseri umani, o agli esseri ce­lestiali.

All’epoca in cui studiavo in un tempio cinese notai che, al ter­mine di ogni sessione mattutina di zazen, il monaco seduto vicino a me poneva il kesa sulla testa e, tenendo le mani giunte in gasshō, re­citava questi versi:


Magnifico è questo abito di liberazione,

simile ad un campo che dispensa grande gioia e felicità.

Onorando gli insegnamenti del Tathāgata

facciamo voto di salvare tutti gli esseri senzienti.”


Vedere questo mi commosse profondamente. Il bavero del mio abito si inzuppò di lacrime di gioia. Avevo letto l’Āgama Sūtra[51] molte volte ed i versetti da recitare ponendo il kesa sul capo mi erano familiari, ma non conoscevo il modo di farlo. Purtroppo in Giappone nessuno era stato in grado di istruirmi su questo e rimpiango il tempo perso a causa di questa ignoranza. Ora, tuttavia, grazie al bene com­piuto in passato, sono riuscito a vedere questo di persona. Se fossi ri­masto in Giappone certa­mente non avrei avuto questa opportunità e il vero significato dell’Āgama Sūtra mi sarebbe rimasto sconosciuto. Assalito da contrastanti sentimenti di tristezza e gioia, piansi e le la­crime bagnarono il mio kesa. Allora pro­misi a me stesso: “Indegno quale sono, mosso però da profonda compas­sione, faccio voto di rice­vere la corretta trasmissione del Dharma del Buddha cosicché i miei connazionali abbiano l’opportunità di spe­rimentare la vera Legge che è stata correttamente trasmessa con il kesa.”

Questo desiderio si è realizzato, e molti laici e persone co­muni ora indo­ssano il kesa. Costoro dovrebbero rispettarlo e venerarlo sempre, perché il suo merito è supremo tra tutte le cose. Con una mente corretta non è difficile sperimentare il vero mondo, ed anche al­beri e pietre sono no­stri insegnanti. Verificare il merito del kesa della corretta trasmissione, an­che solo per un giorno o una notte, è l’avvenimento più prezioso della nostra vita.

Nell’ottobre del 1224 due monaci coreani, Chi-gin e Kei-un, giunsero a Keigen-fu.[52] Entrambi insegnavano i Sūtra basandosi solo sulle loro interpre­tazioni erudite. Non erano differenti dai laici. Essi non in­dossavano l’abito del monaco e non possedevano la ciotola per mendicare. È veramente amaro essere un monaco soltanto di nome. Suppongo che ciò dipenda dal fatto che quei due monaci venivano da un piccolo, remoto paese. Temo che i monaci giapponesi producano la stessa impressione quando si recano in paesi stranieri.

Il Buddha Śākyamuni venerò e preservò il kesa incessante­mente. Essendo Suoi discepoli, dovremmo smettere di adorare sovrani, ministri, divinità e para­disi, e di cercare notorietà e ricchezza, per se­guire invece il suo esempio. Questo mondo non può offrire gioia mag­giore di quella che deriva dal venera­re e rispettare il kesa.



Questo venne insegnato all’assemblea dei monaci nel Kan­non­dōri, del Kōshō-hōrinji, il 1° ottobre 1240.

Fu ricopiato da Gien, durante l’addestramento estivo del 1255, e trascritto il 5 luglio dello stesso anno. Fu ancora ricopiato nel 1275, e il lavoro terminò il 25 maggio.




[1] Kesa, in sanscrito kāsāya, rappresenta il tradizionale abito del Buddha.

[2] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]

[3] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin e quinto Patriarca in Cina. Noto anche come Ōbai. Saishō Dōsha è il suo titolo postumo. [Ta-man Hung-jen]

[4] Il tempio sul monte Sōkei, in cui aveva insegnato il Maestro Daikan Enō.              

[5] Il Maestro Bodhidharma (?-538), ventottesimo Patriarca in India e primo Patriarca in Cina.

[6] Il Maestro Dai-i Dōshin (580-651), successore del Maestro Kanchi Sōsan. [Ta-i Tao-hsin]

[7] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761). [Ta-man Hung-jen]

[8] Si riferisce al periodo della “vera Legge” o “Retto Dharma” ovvero i primi cinquecento anni successivi alla morte del Buddha, nei quali il Dharma è fiorito, e al periodo del “Dharma Imitativo” ovvero i mille anni successivi, durante i quali la Legge inizia a sbiadire. Vi è poi un ulteriore periodo detto del “Dharma Recente” o “Ultima Legge” che sono gli ultimi diecimila anni di decadenza, durante i quali il Dharma degenera.

[9] 67 d. C.

[10] L’Abhidharma, è il canestro dei commentari che assieme ai Sūtra (i discorsi), e al Vinaya (i precetti), forma il Tripitaka, ossia i tre canestri dell'insegnamento.

[11] Il sesto dei sette antichi Buddha, il settimo essendo Śākyamuni Buddha.

[12] Il Maestro Daikan Enō (638-713). [Ta-chien Hui-neng]

[13] Il Maestro Seigen Gyōshi (660?-740) e il Maestro Nangaku Ejō (677-744).

[14] Il periodo di lavoro manuale che, durante i ritiri, è intercalato allo zazen.

[15] Lett. “Così arrivato”.

[16] Buddha, Dharma e Samgha.

[17] Lett. “Straccio per pulirsi dagli escrementi”.

[18] Lett. “Piccolo Monaco”, sta ad indicare un novizio.

[19] Il Re dei Draghi, è un essere mitologico dalle sembianze di serpente che protegge il Dharma.

[20] Śānavāsa, il terzo Patriarca indiano.

[21] Il Buddha Ratnagarbha, un leggendario Buddha del passato.

[22] Contraddice la frase precedente.

[23] Si veda il cap. 21, Juki.

[24] Uccelli mitologici, mangiatori di draghi.

[25] Esseri mezzo-uomo, mezzo-cavallo.

[26] I cinque sacri meriti sono: la capacità di ricevere la predizione, la non regressione, la capacità di soddisfare la fame, la sete, e altri bisogni, la capacità di restare pacifici in mezzo alle ostilità, la protezione nel pericolo.

[27] Il Dhammapada riporta la divisione in kāma-loka (il mondo retto dal desiderio dei sensi), rūpa-loka (il mondo della forma sottile), ed ārūpa-loka (il mondo privo di forma).

[28] Bodhisattva della compassione.

[29] Il Maestro Nāgārjuna era il quattordicesimo Patriarca in India. Fu il successore del Maestro Kapimala e insegnò al Maestro Kānadeva. Egli visse tra il 150 e il 250 d.C.           

[30] Questa storia è tratta dal Mahā-prajñā-pāramitā-śāstra, un trattato attri­buito a Nāgārju­na.

[31] In giapponese, Renge-shiki.

[32] Arhat, lett. “Colui che ha valore”. Nel Buddhismo Hīnayāna, si dice che lo śrāvaka (uditore della voce) passi attraverso quattro stadi. Il primo è srotāpanna (l'entrata nella corrente), il secondo è sakrdāgāmin (chi è soggetto a tornare una volta sola), il terzo è anāgāmin (chi non è soggetto al ritorno), e il quarto ed  ultimo è arhat.

[33]  La spiegazione di questi poteri è data più avanti nel testo.

[34] Lett. “Colui che ascolta”, in origine si riferiva a tutti coloro che avevano udito direttamente l’insegnamento dalla voce del Buddha. Più tardi, la parola śrāvaka fu utilizzata più genericamente per distinguere gli studenti Hīnayāna da quelli Mahā-yāna.

[35] Uno dei dieci grandi discepoli del Buddha, cioè: Śāriputra, Maudgalyā­yana, Mahākāśyapa, Aniruddha, Subhūti, Pūrna, Kātyāyana, Upāli, Rāhula, e Ānanda.

[36] Questa lunga citazione è tratta dal testo “Le 101 regole della scuola Mūla-sarvāstivādin”, una scuola molto apprezzata dal Maestro Dōgen.

[37] Tradizionalmente è la distanza tra il gomito e l’estremità del pugno (cubito). Le dimensioni del kesa sono rapportate a quelle della persona che lo indossa.

[38] Il cielo dei trentatre dèi. Si trova sopra la cima del Monte Sumeru.

[39] Le regole prescrivevano per esempio un tempo da due a cinque giorni.

[40] L’Imperatore Wu (464-549), famoso per il suo incontro con Bodhidharma.

[41] L’Imperatore Yang (569-618), famoso per i suoi studi in letteratura.

[42] Il Principe Shotoku (573-620), promosse il Buddhismo a religione di stato.

[43] L’Imperatore Shōmu (701-756), che dopo 25 anni di regno si fece monaco.

[44] Il tappetino per le prostrazioni.

[45] I cinque desideri erronei sono quelli legati a vista, udito, odorato, gusto, tatto.

[46] Agire il bene nelle sue dieci forme significa astenersi dal male nelle sue dieci forme. Queste sono: uccidere, rubare, essere adulteri, mentire, usare parole persuasive, un linguaggio scurrile, un linguaggio ambiguo, avidità, ira, e visioni errate.

[47] Il pratyekabuddha o “Buddha solitario”, è il veicolo che si basa sulla teoria dell’originazione interdipendente (i dodici anelli della catena di causa ed effetto). Gli altri due veicoli sono: il veicolo dello śrāvaka o “Uditore”, basato sulla teoria dei quattro stadi, e il veicolo del bodhisattva o “Essere di verità”, basato sulle sei pāramitā (le sei perfezioni, o perfezionamenti).

[48] Visioni legate alla personalità: l’estremismo, l’impugnare una falsa visione, il dogmatismo, l’attaccamento ai precetti e alle regole.

[49] Un mitologico uccello mangiatore di draghi.

[50] Uno dei quattro Āgama. Si tratta di traduzioni cinesi dei Sūtra raccolti dalla scuola Hīnayāna degli Sarvāstivādin. Non differiscono molto dai testi del Sutta Pitaka (il Canestro dei Sūtra) contenuti nel Canone Theravāda.

[51] Si tratta di traduzioni cinesi dei Sūtra raccolti dalla scuola Hīnayāna degli Sarvāstivādin. Non sono molto differenti dai testi del Sutta Pitaka (il Canestro dei Sūtra) che sono contenuti nel Canone Theravāda.

[52] Chingyuan-fu, l’attuale Ningpo-fu, nel Chekiang.