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IMMO
Quiddità[1]
Il capitolo contiene un insegnamento sull’ineffabile. Il Maestro Dōgen infatti tratta i rapporti tra quiddità, vacuità, risveglio, prassi e studio della Via. L’insegnamento si svolge attraverso il commento ad alcuni kōan, compreso il famoso koan sulla bandiera e il vento, e la narrazione di momenti della vita del Sesto Patriarca Daikan Enō.
Il Grande Maestro Kōkaku,[2] del monte Ungo, che era il discepolo principale del Grande Maestro Tōzan,[3] fu il trentanovesimo Patriarca dopo Śākyamuni. Un giorno egli disse ai monaci: “Se volete raggiungere immo, dovete diventare un uomo di immo. Tuttavia, dal momento che siamo già seguaci della Via, perché preoccuparci?”
Il vero significato di tale frase è che le persone, così come sono nella loro natura originaria, già manifestano la Via. Immo è ciò, ovvero l’incomparabile forma della Via del Buddha che contiene il mondo intero. Immo trascende tutti i mondi ed è illimitato.
Se siamo parte del mondo intero, perché mai è necessario trovare immo? Immo è la reale forma della verità così come si manifesta da un capo allo altro del mondo; è fluida e diversa da ogni sostanza permanente. Il nostro corpo non è veramente nostro. La nostra vita è facilmente mutata dal tempo e dalle circostanze, e non rimane mai statica. Innumerevoli cose passano e non le vedremo mai più. Anche la nostra mente muta in continuazione. Alcuni si chiedono: “Se questo è vero, su cosa possiamo fare assegnamento?” Ma altri, determinati a cercare il risveglio, fanno uso di tale flusso continuo per rendere più profonda la loro illuminazione. Tuttavia, non possiamo raggiungere questa comprensione attraverso alcuno sforzo personale. Questo è un punto molto importante. Tutti noi siamo “Quell’uomo”.[4] originariamente. Il nostro agire può essere compreso come la determinazione di ‘quell’uomo’ al risveglio. Fin dall’origine abbiamo la capacità innata di divenire ‘quell’uomo’. Dunque è inutile preoccuparsi di conseguire l’illuminazione. Nondimeno, preoccuparsi è già un passo verso il risveglio. Non siate sorpresi. È l’unica via al risveglio.
La Via del Buddha è assoluta. Non può essere controllata da nessuno, né può essere totalmente compresa neppure da una mente illuminata. L’attività della mente universale non può essere scandagliata in profondità. Dal momento che siete già ‘quell’uomo’, perché preoccuparvi del risveglio? È insensato farlo. L’autentica essenza di tutti i fenomeni è l’illuminazione, la vera natura del corpo e mente è immo, Buddha è immo. Proprio come non possiamo staccarci da terra cadendo, così non possiamo essere separati dalla Via. Non inquietatevi per questo. Non c’è posto per il dubbio.
C’è un antico detto che ci giunge dall’India e dalla Cina: “Se qualcuno cade a terra, anche si rialzerà facendo affidamento sulla terra.”[5] Dopo che avrete studiato voi stessi e raggiunto la grande illuminazione, vedrete che il significato di questo detto illustra il principio della liberazione di corpo e mente. Quindi, se vi chiedono: “Come possiamo realizzare la Via del Buddha?” potete rispondere che è come rialzarsi da terra, dopo essere caduti. Per capire chiaramente questo, dovete essere distaccati dall’illusione di passato, presente e futuro.
Il risveglio è trascendere il risveglio; cadere completamente nell’illusione è trascendere l’illusione e giungere alla grande immo illuminazione. Siete pervasi sia dal risveglio, sia dall’illusione; la vostra condizione dipende dal principio del cadere e risollevarsi da terra. Questo principio è applicabile ad ogni cosa, luogo e tempo; in India, in Cina, ovunque, è in tutti i Buddha. Non è sufficiente la comprensione intellettuale, dovete farne l’esperienza. Non importa quali parole del Buddha riceviamo, o quale insegnamento udiamo dai Patriarchi; se li riceviamo con lo stesso spirito con cui essi li ricevettero, condivideremo il loro risveglio. Possiamo dunque dire cose che non furono dette in India o in Cina. Tuttavia, non comprendendo ciò, se cadete a terra, non potrete mai risollevarvi. Cadendo, potrete rialzarvi solo attraverso la vacuità; quando cadete nella vacuità vi rialzate attraverso la terra. Questo vale per tutti i Buddha e i Patriarchi.
Se qualcuno chiedesse: “Che distanza c’è tra la vacuità e la terra?” si dovrebbe rispondere qualcosa come: “Cento e ottomila ri.”[6] Non potete separarvi né dalla terra né dalla vacuità. Se non rispondete in questo modo, significa che non conoscete la Via del Buddha e non avete raggiunto il risveglio.
Il Maestro Sōgya Nandai[7] fu il diciassettesimo Patriarca. Un giorno udì una campana a vento appesa nel grande dōjō[8] e chiese al suo discepolo principale Kayāśata:[9] “Cos’è che suona: il vento o la campana?” “Nessuno dei due” rispose Kayāśata, “è la mia mente che suona.” “Che cosa vuol dire?” chiese il Maestro. “È quiete totale” disse l’allievo. “Buona risposta” commentò Sogya, “Chi oltre te può trasmettere il mio insegnamento?” Questo è il modo in cui veniva correttamente trasmessa la vera Legge.
Questa domanda in realtà riguarda la condizione della mente quando né la campana né il vento suonano. Questo è il modello che dovremmo seguire studiando la Via del Buddha. Essa nacque in India e fu portata in Cina, ed è stata correttamente trasmessa fino ad oggi anche se è stata fraintesa da molti. La maggior parte della gente pensa che la risposta di Kayāśata si riferisca alla conoscenza basata sul suono. Cioè, se sentiamo la campana, essa è percepita dalla nostra mente. È una concezione sbagliata. La gente pensa in questo modo perché non ha ricevuto l’insegnamento da un vero maestro. La loro interpretazione è quella di un grammatico o di un logico. Studiando così non impareremo mai il profondo significato della Via del Buddha.
Un vero discepolo della corretta trasmissione ritiene questo insegnamento uguale all’Occhio e al Tesoro della Vera Legge, al nirvāna, alla non-azione, al samādhi, e alle dhāranī.[10] Se ci troviamo in una condizione di pace, tutte le cose sono in una condizione di pace: la mente, la campana, e ogni interrelazione. Il suonare della nostra mente non è come il suonare della campana o il suonare del vento; questo è vero solo considerando il suonare da un solo particolare punto di vista. In realtà non esiste nulla di particolare, e non c’è bisogno di avere un’illusione. Quando non poniamo alcuna domanda, allora esiste immo.
Il trentatreesimo Patriarca, il Maestro Zen Daikan,[11] viveva nel tempio Hōsshōji, nel Kōshū, prima di ricevere l’ordinazione. Un giorno due monaci stavano discutendo. “La bandiera si muove” sosteneva uno dei due. L’altro ribatteva: “No, è il vento che si muove.” “Né il vento né la bandiera si muovono. Sono le vostre menti che si muovono” disse loro Enō, ed essi udendo questa spiegazione si inchinarono.
Questi due monaci venivano dall’India e non compresero veramente la spiegazione di Enō, e neppure condividevano la sua esperienza della Via. Essi presero le sue parole alla lettera e di conseguenza non lo incontrarono veramente, né potevano essere suoi allievi. La risposta di Enō era un espediente poiché in realtà vento, bandiera e mente dimorano nella quiete, cioè nel nirvāna.
Un vero discepolo di Enō dovrebbe dire: “Tu ti muovi” invece di: “La tua mente si muove.” Il movimento è movimento, tu sei tu, e ognuno è ‘quell’uomo’. Questo è quiddità.
Molto tempo prima, il sesto Patriarca faceva il taglialegna nello Shinshu. Lavorava nelle foreste, nelle valli e vicino ai laghi. Era intenzionato a tagliare la radice dell’illusione ma, essendo molto povero e sempre affaccendato, non poteva studiare formalmente la Via in un monastero e sedeva in zazen sotto un pino. Un maestro non ce l’aveva. Un giorno udì salmodiare questi versi del Sūtra del Diamante: “Risveglia la mente, senza permettere che dimori in nulla.” In modo del tutto inatteso, immediatamente decise di entrare in monastero. Enō non era consapevole di possedere una piccola perla che avrebbe illuminato il cielo e la terra. Suo padre morì quando era giovane ed egli dovette prendersi cura della madre ma, dopo aver scoperto la sua luce interiore, decise di conseguire l’illuminazione e lasciò la madre per cercare un buon maestro. È molto raro che un laico, che abbia un impegno così pesante, abbandoni i genitori per cercare la Via. Per il sesto Patriarca, tuttavia, nulla era più importante della Via del Buddha. Un altro fattore è che la prajñā[12] ricerca la prajñā; possedendo questa saggezza troverete molto velocemente la Via, ma essa non può essere appresa da altri o sorgere da se stessa. Esiste la storia dei cinquecento pipistrelli che morirono per imparare l’insegnamento dei sūtra.[13] La prajñā era intrinsecamente presente nei loro corpi.
I diecimila pesci che ininterrottamente salmodiavano il nome del Buddha,[14] possedevano anch’essi, in modo innato, la prajñā nei loro corpi. Pur senza alcun principio di causalità, essi comprendevano immediatamente l’insegnamento ascoltato. In queste due storie possiamo vedere che la prajñā non viene dall’esterno. È come il dio della primavera che incontra la primavera.
La prajñā non è contemplazione, né mente esistente o non-esistente. Essa non ha nulla a che fare con grande o piccolo, con risveglio o illusione. Il sesto Patriarca era un taglialegna e non aveva alcun interesse o desiderio di cercare la Via del Buddha perché non sapeva neppure cosa fosse. Dopo aver udito l’insegnamento egli pose i suoi obblighi in secondo piano e dimenticò il suo stesso benessere. È per questo che diciamo che, se trovi la prajñā, immediatamente capisci l’Insegnamento del Buddha.
Nonostante la nostra potenzialità in termini di prajñā, dentro il ciclo infinito di vita e morte, noi viviamo nell’illusione. È come il rapporto tra una pietra grezza ed un pezzo di giada lavorato. In origine, la giada è solo una pietra grezza senza alcuna idea di divenire un pezzo lavorato. Qualcuno può prendere questa pietra grezza e trasformarla in un pezzo di giada lavorato, ma né la pietra originaria né il pezzo rifinito prevedevano le loro rispettive condizioni. Non è né dalla prospettiva della pietra né dall’attesa del pezzo lavorato che essi sono venuti ad essere. Allo stesso modo, esseri umani e prajñā sono ignari l’uno dell’altro e, tuttavia, possono essere risvegliati alla Via.
C’è questo detto buddhistico: “Il dubbio che si fonda sopra l’ignoranza è una rovina per tutta l’eternità.” Della stessa prajñā non si può affermare che sia esistente o non esistente; se esiste, tutto esiste, e viceversa. Esistenza e non esistenza sono come le gemme primaverili del pino o l’appassire di un crisantemo autunnale. In una condizione di ignoranza, si tende a dubitare di questo e di pressoché qualsiasi altra cosa. È veramente un peccato. Tuttavia, la Via e la prajñā si manifestano attraverso l’intero Universo e non possiamo affermare che solo noi le possediamo. L’intero Universo stesso è Verità e la Verità non può appartenere a qualche persona o cosa; non contiene nulla di eccedente ed è un’incessante fonte di vita. “Non importa quanto possiamo dubitare o smarrirci, nondimeno vi è solo la Via del Buddha in ogni mondo-di-Buddha.” Le cose appaiono manifestando la loro intrinseca vita eterna. Saggezza e ignoranza appaiono in contrapposizione come il sole e la luna ma, fondamentalmente, trascendono questa contrapposizione.
Il sesto Patriarca lo comprese. Si recò sul monte Ōbai e divenne discepolo del Maestro Zen Daiman.[15] Daiman gli disse di lavorare nella baracca della pulitura del riso. Enō vi lavorò per otto mesi, pulendo riso giorno e notte. Una notte Daiman entrò nella baracca e chiese: “Il riso non è ancora pulito?” Enō rispose: “Sì, ma non l’ho ancora setacciato.” Allora Daiman colpì per tre volte il mortaio col suo bastone. Enō scosse per tre volte il sacco del riso. In quel momento Maestro ed allievo divennero una cosa sola. Non conosciamo le circostanze dettagliate di questa trasmissione, tuttaqvia sappiamo che Enō realizzò l’insegnamento del Maestro e ricevette il suo kesa.
Per qualche motivo, Yakusan[16] chiese al Gran Maestro Musai,[17] del monte Nangaku: “Ho studiato profondamente sia l’insegnamento dei tre veicoli, sia quello delle dodici scuole.[18] Ho udito tuttavia, che nel sud vi è una scuola che insegna a ‘Puntare direttamente al cuore dell’uomo, realizzare la propria natura e diventare un Buddha’. Non riesco a comprenderne il significato. Maestro, ti prego, abbi compassione e spiegamelo.” Yakusan era un commentatore dei sūtra, ed era particolarmente versato sui loro insegnamenti. Avrebbe dovuto conoscere tutto ciò che c’è da conoscere sull’Insegnamento del Buddha. Un tempo, studiare la Via voleva dire chiarire il senso dei sūtra. Eppure, al giorno d’oggi, la gente è così stupida che insiste nel voler interpretare il Dharma del Buddha dal proprio punto di vista, e nel cercare di afferrarne l’essenza mediante l’intelletto e lo studio. Non è il giusto metodo. Sekitō, alla domanda di Yakusan, rispose così: “Immo non può essere conseguito. Immo non può non-essere conseguito. Né l’uno né l’altro possono essere conseguiti. Che cosa puoi fare?” L’immo di Sekitō non può essere espresso nemmeno con un illimitato numero di parole; le frasi contenute nella risposta di Sekitō vanno ben al di là della nostra comprensione limitata. Il suo risveglio, oltrepassa il risveglio.
Una volta, il sesto Patriarca Enō insegnò al Maestro Zen Nangaku:[19] “Immo è qualcosa che viene così.” Qui, ‘qualcosa’ e ‘così’ non sono solo una semplice affermazione. Trascendono la comprensione; ogni cosa è qualcosa e viene così. Dovremmo sapere che questo è ciò, immo, e che realizza la verità, senza alcun dubbio.
Trasmesso, il 26 marzo 1242, nel Kannondōri-Koshōhōrinji.
Copiato da Ejō, il 14 aprile del 1243, negli alloggi del discepolo principale.
[1] Immo, lett. “Ciò che è”, traduce il sanscrito tathatā e rappresenta la natura assoluta e indifferenziata di tutte le cose. In questo capitolo simboleggia il completamento della Via.
[2] Il Maestro Ungo Dōyō (835-902), uno dei successori del Maestro Tōzan Ryōkai. Kōkaku Zenji è il suo titolo postumo. [Yün-chü Tao-ying]
[3] Il Maestro Tōzan Ryōkai (807-869), nella linea di trasmissione del Maestro Yakusan Igen. [Tung-shan Liang-chieh]
[4] Cioè l’uomo, poiché già possediamo il risveglio.
[5] Parole del Maestro Upagupta, dal Keitoku Dentōroku (La Raccolta della trasmissione della Torcia dell’Era Tensho).
[6] Un ri equivale a circa 3,75 km.
[7] Il Maestro Samghanandi, successore del Maestro Rāhulabhadra.
[8] Lett. “Luogo della Via”. Indica un luogo dedicato allo studio ed alla prassi.
[9] Il Maestro Geyāśata, diciottesimo Patriarca.
[10] Le dhāranī sono invocazioni alla cui recitazione è attribuito un potere mistico.
[11] Il Maestro Daikan Enō (638-713), successore del Maestro Daiman Kōnin. Spesso è chiamato semplicemente Sesto Patriarca o Sōkei, dal monte su cui dimorava. [Ta-chien Hui-neng]
[12] Una delle sei pāramitā o perfezioni. Prajñā è la conoscenza intuitiva profonda, trascendente, e non ha nulla che vedere con la conoscenza concettuale.
[13] Si narra di un uomo che, trovandosi una notte all’addiaccio, diede fuoco ad un grande albero avvizzito e iniziò a leggere un Sūtra. All’interno del tronco si trovavano cinquecento pipistrelli. Piuttosto che rinunciare all’ascolto del Sūtra, essi preferirono morire.
[14] Si narra che diecimila pesci, dopo aver udito recitare un Sūtra, rinacquero come esseri celestiali nel cielo Tusita.
[15] Il Maestro Daiman Kōnin (688-761), successore del Maestro Dai-i Dōshin, e quinto Patriarca in Cina. [Ta-man Hung-jen]
[16] Il Maestro Yakusan Igen (745-828), uno dei successori del Maestro Sekitō Kisen. Kōdō Zenji è il suo titolo postumo. [Yao-shan Wei-yen]
[17] Il Maestro Sekitō Kisen (700-790), nella linea di trasmissione del Maestro Daikan Enō. Musai Zenji è il suo titolo postumo [Shih-t’ou Hsi-ch’ien]
[18] Si veda il cap. 34, Bukkyō.
[19] Il Maestro Nangaku Ejō (677-744), uno dei successori del Maestro Daikan Enō. [Nan-yüeh Huai-jang]